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Nascere sulle sponde della speranza

di Luigi Maruzzi

È quasi l’alba e sulla spiaggia s’intravvede qualcuno. Forse siamo in inverno. Piombano i primi raggi. Una giovane donna col capo coperto tiene in braccio un neonato. Si vede che gli sta parlando mentre lo fissa, gli sorride e poi improvvisamente lo innalza per affidarlo al sole. Esseri alati, tra l’umano e il divino, aspettano seduti sulla sabbia. Con la loro schiera disegnano un cerchio di laudantes attorno alla madre” (*).

Penso che i commenti positivi e le manifestazioni di critica suscitati dal film “Il vizio della speranza” in pancia e a chiusura del Festival del cinema di Roma (ediz. 2018), non abbiano esaurito il ‘lievito madre’ lasciato da questa pellicola. Io l’ho visto, il film di De Angelis, e posso dire di essere uscito dalla sala con l'impeto di scrivere all'istante le mie impressioni; cosa che in realtà ho fatto, senza decidermi a pubblicare il nuovo post. A distanza di oltre 30 giorni, si è presentata una nuova suggestione grazie al libro proposto all'attenzione del pubblico con una buona invasione di copie distribuite attraverso le varie librerie. E così, dopo averlo letto, mi è sembrato che il libro (pubblicato da Mondadori nella collana “Strade blu”) potesse rappresentare un segnale inequivocabile circa la necessità di mettere ordine tra le riflessioni sparpagliate sul mio piano di lavoro.

Il film rimanda al tema dell'immigrazione (perlopiù clandestina), ma mentre scava questo terreno ricchissimo di fattori ‘contaminanti’ (come la pratica sistematica dell’aborto e la vendita dei neonati), fa emergere la presenza di strati più legati alla spirale delle povertà che stanno pesantemente intaccando la stessa popolazione italiana. Non deve ingannare, infatti, la scelta del regista di offrire una buona dose di protagonismo alla gente di colore. In fondo, è innegabile come a De Angelis stia a cuore la scelta di mostrare il dramma delle ragazze africane che, dopo lo sbarco sulle coste italiche, vedono frangere i flutti dei loro sogni contro gli scogli dello sfruttamento. Nel libro si dà ampiamente conto delle dinamiche che portano al plagio delle giovani menti attraverso riti che stanno a metà strada tra pagano e religioso.

La parte “bianca” del film entra in sordina e lentamente piazza i suoi manichini che acquistano vitalità spezzone dopo spezzone, fino a distendere una vera e propria trama incentrata sulla figura di Maria (e la sua famiglia). Non voglio raccontare qui tutto il film. Basta dire che la giovane ragazza italiana cambierà significato alla parola “speranza”, non più illusione prontamente tradita dal destino (come suona sulle labbra delle immigrate) ma tentativo di ri-nascere attraverso il dono della vita, la generazione di un altro essere umano, il proprio bambino.

Nel suo libro, De Angelis dichiara di non essersi ispirato ad un'immagine. D’accordo, ma a me sembra che non possa venire alla luce alcuna forma di creazione senza immagine; lo stesso film contraddice le convinzioni dell’autore, disseminando numerose tracce per condurre lo spettatore a storie e figure che appartengono all’immaginario biblico. A partire dal nome della protagonista, passando per la sua fragilità fisica (che rischierebbe la vita in caso di gravidanza), per finire col ritrovamento del suo corpo di bambina nelle acque del fiume.

Mi rendo conto di aver superato l’estensione massima consentita ai miei post, ma sarebbe un peccato se non potessi raccontare qualcosa che mi è rimasto dentro. E allora, mi abbandono al replay scomposto della memoria …. Una macchina da presa insegue a minima distanza tutti i gesti ed i movimenti della protagonista; con prepotenza invita a entrare nella storia per far provare sentimenti forti e ripugnanti, tra accenni di dolcezza e conati di vomito, privati della loro chimica. La maggior parte delle scene è ambientata in un territorio quasi irriconoscibile, una specie di palude da bonificare. Per buona durata del film il paesaggio resta immerso nel semi-buio, come se fosse sempre notte. Molto accade ma poco si vede; eppure la mente non fa fatica e presto arriva allo squallore di quella realtà, senza bisogno di stimoli spettacolari. Rivedo le scene con il mare. E già, l’acqua! L’acqua è onnipresente, anche se può sembrare che in alcune scene non ci sia. Come quando manca al corpo di Maria, che rifiuta di farsi la doccia dopo un giorno di fatiche. Oppure come quando viene sostituita dalla fantasia mentre la “lavatrice-giostra” del personaggio Carlo Pengue gira così vorticosamente da sprigionare “innocenti evasioni” che Maria sa di non poter più sperimentare nella sua vita.

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(*) Libera descrizione del quadro di G.Previati, “Maternità” (Galleria di Arte Moderna – Milano).


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