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È un cuore emigrante che ancora batte in noi figli

di Luigi Maruzzi

Ho conosciuto lo scrittore Rodolfo Di Biasio in occasione del convegno intitolato “Gente italiana nel mondo. Storie e scritture”, tenutosi a San Marco in Lamis lo scorso 14 marzo (1). Ma se sono entrato in possesso dell'edizione originale del libro “I quattro camminanti” (Firenze, 1991) lo devo ad una curiosa successione di circostanze che proverò qui a ricostruire.
Fu durante la prima pausa della mattinata che Di Biasio mi mostrò una copia dell'edizione inglese del suo romanzo, lasciandomi affascinato perché non pensavo che negli Stati Uniti sapessero fare libri tanto belli. Così, lentamente, nacque in me il desiderio di accostarmi a quel volumetto, di cui parlavano molti dei Relatori. Non senza un sottile rigagnolo di delusione che adombrò il mio sorriso, per non aver ricevuto una copia omaggio direttamente dall'autore. Sentivo segretamente di averne diritto in quanto figlio dell'emigrazione.
Ricordo che il programma del convegno si svolse senza particolari intoppi, in linea con le aspettative. Poi, all'ora di pranzo, abbandonammo la sede dell'evento per raggiungere con le nostre macchine (2) il ristorante di Borgo Celano. Si sa che il momento conviviale permette di uscire dagli stretti vincoli del protocollo per concedere un pizzico di libertà in più a tutti i commensali. E non so se sia stato questo a decidere l'esito di quanto da lì a poco tempo sarebbe accaduto; può anche darsi che mi abbia incoraggiato la cordialità scambiata la sera prima con una parte degli ospiti provenienti da fuori regione. Fatto sta che non appena l'organizzatore del convegno si alzò dalla sedia con il calice in mano, in segno d’onore per i presenti, non seppi resistere alla tentazione. Rivolgendomi a Sergio D’Amaro (3), dissi che avrei volentieri aderito al suo brindisi solo se lui avesse pubblicamente promesso di procurarmi il romanzo di Rodolfo, in entrambe le versioni, italiana e inglese.
A questa mia imprevedibile richiesta seguì una sospensione silenziosa, fortunatamente interrotta da Domenico Adriano (4) che, suscitando lo stupore di tutti, prese la sua borsa, estrasse una copia de “I quattro camminanti” e me la porse con l'evidente intento di regalarmela. Dopo un primo momento di imbarazzo misto a felicità quasi infantile per un desiderio appena esaudito, accennai ad un blando ringraziamento cui si associò lo stesso Di Biasio che pretese di apporre subito una dedica personale sul libro. In cambio, a lettura ultimata, avrei dovuto inviargli una restituzione delle mie impressioni. In altre parole, dalla promessa che io avevo architettato scaturì, a mio carico, un dovere morale in nulla somigliante al semplice debito di riconoscenza.

* * * *

Il tempo che ho dedicato alla lettura del romanzo non è stato molto; eppure, ……. Nessun libro di un centinaio di pagine mi ha mai richiesto un coinvolgimento emotivo così importante come quello assorbito da “I quattro camminanti”, equiparabile soltanto all'autobiografia di Joseph Tusiani (che però si estende lungo lo spazio tipografico di oltre 400 pagine) (5). Se, dunque, dovesse essere vero il fatto che il romanzo – prima di essere consegnato alle stampe – subì un significativo 'dimagrimento' in termini di inchiostro e cellulosa consumati, del suo contenuto narrativo non potrei dire la stessa cosa. All'inizio ho creduto di essermi imbattuto in un'opera inclassificabile col solo filtro delle mie preferenze letterarie. Il romanzo di Di Biasio si presentava come un parente "alla lontana" di una sceneggiatura cinematografica, e allo stesso tempo, appariva come un capolavoro “miniaturizzato”, in contrasto con l'imponente corporeità della sostanza epica adoperata per la sua stesura.
In realtà, la questione più cruciale era un'altra, e aveva che fare con la certezza che l'autore stesse parlando proprio a me, anche se non riuscivo ad accettare l'idea che tutto questo potesse derivare da un incontro apparentemente casuale. Finito il capitolo del primo camminante (affettuosamente chiamato Giose), mi è sembrato di non avere più forza per proseguire, tanta era stata la fatica spesa nel sopportare le sollecitazioni emotive provocate dalle vicende raccontate nel libro. Mi sentivo spinto ad intraprendere la lettura del capitolo successivo, ma sapevo di non essere pronto per affrontarlo. Avrei dovuto assimilare (e superare) il movimento interiore determinato da parole che andavano componendo un linguaggio potentissimo, carico di dure verità, le stesse che la vita scrive sulla pelle di ogni uomo, con la differenza che quelle appena lette annegavano nelle carezzevoli essenze sgorgate dalla penna di un poeta.
Sebbene prossimo a tradire la promessa, non ebbi il coraggio di tirarmi indietro. Ormai, il primo camminante stava intrecciandosi agli altri protagonisti (Gemì, Repossi e – per finire – Adolfo). Vinto dalle imperscrutabili strategie del destino, approdai a pagina 111 con la netta sensazione che non sarei mai riuscito a scrivere qualcosa che potesse andare oltre la conferma di una piacevole scoperta: quella di aver riconosciuto in Rodolfo Di Biasio un grande testimone, lo scrittore civile di una dolorosa quanto straordinaria, storia italiana.

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(1) Il convegno è stato patrocinato da Fondazione Cariplo e dalla Fondazione dei Monti Uniti di Foggia. I relativi atti, in corso di pubblicazione all'interno della rivista "Frontiere", curata dal Centro di Documentazione sulla Storia e la Letteratura dell’Emigrazione della Capitanata, saranno resi pubblicamente disponibili con possibilità di download del file elettronico in formato pdf.

(2) In verità, nel mio caso, devo ringraziare Michele Notarangelo, anche lui uomo di lettere, che con innato senso dell’ospitalità si è offerto di accompagnarmi, come aveva già fatto la mattina dello stesso giorno.

(3) Sergio D'Amaro, saggista, poeta e narratore. Il suo ultimo romanzo è "L’allegro destino della signora Mariù" (Lecce, 2018).

(4) Di Domenico Adriano mi limito a citare quanto scritto sulla figura di Di Biasio, reperibile sul sito della Treccani: http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/Di_Biasio/Adriano.html

(5) Joseph Tusiani, In una casa un’altra casa trovo (Milano 2016).


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