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Perché la cultura dell’insulto fa male anche al terzo settore

di Giulio Sensi

Proviamo a sintetizzare cosa più o meno può rimanere fra i cittadini italiani di tutto il battage politico degli ultimi giorni: vergogna il governo regala 7,5 miliardi di euro alle banche mentre la gente muore di fame, però levavano l’Imu nello stesso provvedimento, qualcosa fanno, ma che carogne mettono l’Imu insieme al regalo alle banche, tutta colpa della presidente della Camera Laura Boldrini che zittisce i grillini, però anche i grillini fanno solo casino e offendono pesantemente, ora l’hanno offesa, però anche lei se le cerca. Sono tutti coglioni!

Scusate la superficialità, ma fra la gente il livello medio di comprensione è questo. Quindi uno si chiede: ma a cosa serve insultarsi in politica o insultare i politici?

Beh, serve proprio ad evitare di capirci qualcosa. E viene il dubbio che dalla nebbia fitta che viviamo ormai da anni nello spazio mediale e politico ci guadagnino in pochi. Certamente non la gran parte di quelli che insultano. E qualcuno ci rimette.

Insultarsi, meglio se scendendo sul piano personale, è la cosa che riesce più facile, sia in politica sia nella quotidianità. L’insulto è low cost, anzi non costa nulla, perché nega qualsiasi sforzo di comprensione reciproca, toglie la speranza di cambiare idea, cancella il dialogo, lascia ognuno assediato nel suo fortino a non vedere altro che le proprie superiori ragioni. Ed espone anche alla solitudine che aumenta la fragilità che fa aumentare la rabbia.

L’insulto, in definitiva, nega la relazione, cancella qualsiasi forma di empatia che rende nobile la politica. Quell’empatia che fa fare agli uomini e alle donne grandi cose insieme. Se ci pensate è la negazione della pratica quotidiana di cui si vanta il terzo settore (o come lo vogliamo chiamare).

La penetrazione invasiva del metodo dell’insulto nutre e fa vivere un sostrato culturale che distrugge anche i valori e la cultura di riferimento del terzo settore. Diffonde un metodo di lettura della realtà che fa crescere tutti i peggiori luoghi comuni: ad esempio che il terzo settore vive come un parassita alle spalle del pubblico, che fa vivere da parassiti i poveri e gli immigrati, che fa lavorare gente che non avrebbe nessuna speranza né merito per lavorare. Ma di questo riparleremo.

Inutile fare finta di nulla, caro terzo settore: perché la barbarie quando avanza non guarda in faccia a nessuno.


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