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Perché può far comodo vivere di emergenze

di Giulio Sensi

Non serve essere assidui fruitori dei media per farsi prendere dal panico e scivolare nel pessimismo più totale nell’avvertire, scorrettamente, che il nostro Paese -ma vale anche per molti altri- vive di emergenze che diventano pericoli e incubi collettivi senza soluzione.

Lo so è un attacco strano e verboso per un post. Il mio amico e collega Gianluca Testa mi redarguirà. Ma volevo scimmiottare i grandi commentatori dei grandi giornali. Che siccome non hanno più argomenti per influenzare con le loro opinioni le coscienze degli italiani che li leggono sempre meno, allora usano perifrasi pompose su argomenti banali per darsi un tono. Quando invece guadagnerebbero molti più punti a scrivere schiettamente e semplicemente di quello che è sotto gli occhi di tutti. Come si faceva, forse, una volta.

Va bene, sono già fuori dal topic di questo post, sto infrangendo più di una fondamentale regola della comunicazione online. Ma questa estate mi ha confuso: dalle morti per discoteca a tutta quella informazione sui profughi che invadono l’Italia e gli altri Paesi, solo per fare due esempi ma ce ne sarebbero molti altri a cominciare dal solito meteo. Non c’è stato più nemmeno spazio per il gossip estivo, solo notizie brutte e serie. Si è salvato solo il calciomercato, con il calcio sempre più simile a saghe stile Beautiful che a uno sport.

Media e politica sono d’accordo su un dato fondamentale: parlare solo con la lente delle emergenze conviene a tutti. Allora è lecito chiedersi e indagare se il nostro Paese -ma vale anche per molti altri- viva o no solo di emergenze come sarebbe evidente nella sua rappresentazione mediatica e nel dibattito politico.

È uno degli argomenti centrali del prezioso libro “Scegliere il futuro”, uscito lo scorso anno, di Enrico Giovannini, ex ministro del lavoro del governo Letta e già presidente Istat.

“In pratica -scrive Giovannini-, come ai tempi di Einaudi, l’attività legislativa, nonostante l’impegno degli uffici governativi e parlamentari a ciò deputati, si svolge il più delle volte sull’onda dell’emergenza, il che impedisce di svolgere questo tipo di attività in modo sistematico”.

E come vale per l’attività legislativa vale anche per il dibattito pubblico e varrà sempre di più per le scelte personali. Il nocciolo della questione riguarda infatti ognuno di noi: che conoscenza della realtà e dei fenomeni sociali abbiamo per farci un’idea compiuta e per compiere delle scelte personali “lungimiranti”? In che senso, cioè, impostiamo la nostra vita e aiutiamo i nostri figli ad impostare la loro in una prospettiva di lungo periodo che rifugga le facili soluzioni (o le opinioni espresse su luoghi comuni e mezze verità) per costruire percorsi di crescita e realizzazione personale e familiare in un contesto sempre più difficile, competitivo e con minori opportunità?

Il frutto più amaro delle crisi che stiamo vivendo non è solo quello che riguarda le minori possibilità materiali e dell’erosione dei diritti. Esiste un frutto altrettanto pericoloso che riguarda la limitazione delle libertà personali dettata dall’apparente mancanza di scelta. Una delle sue cause, e insieme conseguenze, è il conformismo selvaggio nelle convinzioni e nelle stesse scelte.

Per intenderci: le minori possibilità restringono l’orizzonte mentale e rendono tutti più incentrati sul breve periodo, sul guadagno immediato o la limitazione delle perdite, perdendo il senso immenso che ha investire nel futuro in un’ottica di lungo periodo. Perché tanto non conviene farlo in un contesto sociale così incerto. L’argomento è enorme e sarebbe anche scorretto limitarlo a qualche spunto. Ma l’Involontario fa quello che può.

E’ un problema che riguarda da vicino anche il terzo settore italiano di cui sconcerta -con le dovute e belle eccezioni- il dilagante conformismo e la mancanza di orizzonti più ampli che lo avevano caratterizzato nel suo emergere. D’altronde perché investire nel futuro se non c’è alcuna certezza e se il contesto in cui si opera è sempre più frastagliato, faticoso, sconnesso?

Ma il punto è proprio questo: cambiare orizzonte nelle scelte -anche economiche- oggi significa costruire e scegliere il futuro e uscire dalle logiche emergenziali che limitano tremendamente qualsiasi spazio di innovazione. Chi lo fa da anni, come insegna l’esperienza di alcune realtà cooperative, ne sta già raccogliendo i frutti.

L’emergenza è una trappola (vera, certamente, non inventata) che fa comodo a molti perché limita il raggio delle scelte e impone reazioni semplici volte alla risposta immediata ad un bisogno e alla sopravvivenza; crea dipendenze e limita la crescita.

Perché le crisi sono anche grandi zone di comfort, rischiano di generare un benessere percepito e utile a qualcuno -ma irreale-, qualora non siano comunque così devastanti da distruggere tutto.


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