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Famiglia & Minori

Vecchi genitori e figli unici

di Benedetta Verrini

In questi giorni mi girano in testa due notizie che, per motivi diversi, riguardano la famiglia, il tempo che stiamo vivendo, gli adulti che invecchiano e i bambini che mancano.

Da un lato, il dibattito negli Stati Uniti generato dal libro One and Only di Lauren Sandler che, tra un copioso corredo scientifico e molti approfondimenti sociologici, difende a spada tratta la “scelta consapevole”, da parte della coppia, di avere un solo figlio. L’argomentazione è coerente con il trend della crisi economica: un figlio unico costa meno, su di lui puoi investire tutte le attenzioni e il tempo a disposizione, a un certo punto ti regalerà una notevole libertà di movimento.

Dall’altra parte del mondo, in Cina, dove il figlio unico ha rappresentato una scelta politica imposta, si è dovuti arrivare ad approvare una legge per difendere “l’amore filiale”. Con 185 milioni di vecchi, il governo di Pechino si trova a fronteggiare un dilagante fenomeno di abbandono e deve dettare una norma che imponga di telefonare e andare a trovare mamma e papà, altrimenti i figli non lo fanno.

Senza voler stabilire un rapporto di causa-effetto tra i due fenomeni, che sono troppo lontani geograficamente e culturalmente, forse è possibile riflettere sulle ragioni prevalenti della scelta di avere un solo figlio e della scelta di ignorare i propri genitori. E’ un argomento che ha un certo peso per il nostro paese, che ha un tasso d’invecchiamento molto elevato e una fecondità quasi pari allo zero.

A essere sincera, io non ho sotto gli occhi una gran quantità di coppie “entusiaste” di aver fatto solo un figlio. L’Istat, non a caso, ha più volte messo in luce che il numero di figli desiderati è molto più alto di quelli effettivamente nati.

I motivi li conosciamo: si diventa madri sempre più tardi e il secondo giro è troppo faticoso e/o rischioso dal punto di vista della salute; dal secondo figlio in avanti per una donna è molto difficile mantenere il lavoro; sta svanendo sempre più la cultura (e anche la normalità) di una famiglia numerosa (quando vado in giro con i miei figli, che poi non mi sembra che tre sia una quantità tanto clamorosa, mi chiedono ossessivamente se sono tutti miei…).

L’entusiasmo della scrittrice americana mi sembra dunque radicalmente snobistico, giusto una cornice teorica – e modaiola – a un fenomeno storico molto più complesso, per certi versi drammatico. Certo che con un solo figlio sei molto più ricco e più libero, che scoperta. Dentro quelle ragioni, però, avverto più materialismo che gioia di vivere.

Ma torniamo in Cina. Cosa avranno fatto di male, questi poveri genitori, per essere snobbati dai figli? Come può succedere tutto questo in una cultura, quella orientale, dove proprio l’anziano è venerato e considerato come portatore di saggezza? Da un lato c’è una faccenda pratica: sostenere l’invecchiamento di due anziani quando si è soli, quando non ci sono fratelli e sorelle che possano condividere il carico organizzativo ed economico, è davvero duro. Non è molto lontano da quello che succede e succederà a noi italiani: i problemi di conciliazione di molte donne lavoratrici, oggi, non riguardano più solo l’accudire i bambini, ma l’occuparsi dei nonni ammalati o invalidi.

Poi c’è l’aspetto emotivo. Non so come siano i genitori cinesi, ma mi sembra terribile che si debba arrivare a una legge dello Stato per imporre l’affetto. Ecco, spero che a noi non succeda mai. Saremo vecchi molto poveri, non avremo la pensione e non ci sarà welfare a sostenere i nostri acciacchi. Ma un “ti voglio bene” dai nostri ragazzi, unici o plurimi, ecco, questo spero che non ci mancherà.

 


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