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Famiglia & Minori

Il grande rutto

di Paola Strocchio

Agile, intelligente, scattante, accogliente, brillante, agevole: "smart" vuol dire tutto questo. Ed effettivamente il santo smart working di cui beneficio è tutto questo. Occorreva questa premessa sacrosanta, perché tutto voglio fuorché lamentarmi di un grande privilegio di cui godo: lavorare da casa, al sicuro, lontana da pericoli di contagio, con tutta una serie di benefici che è poco interessante condividere in questa sede.

Solo che c’è un “però”. Non poteva non esserci. Perché sono una donna e sono madre di un adolescente, e quindi ho sempre un buon motivo per lamentarmi (è una specie di sillogismo di cui Aristotele si è dimenticato di parlare, perché secondo me quel giorno era distratto). E così mi lamento perché evidentemente l’adolescente del mio cuore non ha capito bene cosa significhi lavorare in modalità smart.

Se mi vede davanti al PC con le cuffie alle orecchie mentre parlo anche animatamente, non dovrebbe essere difficile capire che non sto dialogando con lui, ma con qualche collega. Se annuisco davanti a un video, non sto dicendo di sì a lui, che mi sta chiedendo se può iscriversi a un torneo di Fortnite dove “oh, ma’, si vincono anche dei soldi, eh”. Se rispondo “forse è meglio soprassedere e aspettare l’estate”, non sto certo mettendo in discussione la sua necessità di cambiare le lenzuola del suo letto, tanto più che siamo a inizio aprile.

Ma c’è chi è messo peggio.

Molto peggio. E allora quella storia del mal comune che alla fine diventa anche un po’ mezzo gaudio diventa la mia preferita.

Un paio di giorni fa, durante una di quelle call in cui ciascun partecipante è invitato a silenziare il proprio microfono quando non deve intervenire, qualcuno deve essersi dimenticato di fare clic con il mouse sull'icona del microfono. Così, tra un intervento e l'altro, dal PC di un utente collegato è arrivato un rumore inconfondibile. Inconfondibile perché lo conosco bene, peraltro, ché in casa ho un professionista mica pizza e fichi, eh. Il rumore di un rutto, ma non di un rutto qualsiasi. Dalle casse è arrivato in stereofonia il re dei rutti. In una manciata di nanosecondi ho passato in rassegna i nomi di tutti i partecipanti e ho subito individuato il responsabile. O meglio, il padre del responsabile. Che con un imbarazzo tangibile ha detto soltanto questo: “Scusate. Mio figlio non sapeva fossi in call”.

Ho riso come una pazza, e ancora adesso mi scappa da ridere, mentre sono qui che scrivo.

Non sono sola, ragazzi! Non siamo soli!


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