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Economia & Impresa sociale 

Sono un «rischioesposto»

di Andrea Di Turi

Siamo tutti rischioesposti. Ma esposti a quale rischio? A quello, anzi, a quelli connessi al nostro ruolo di stakeholder, che sia consapevole o meno, solo in potenza o effettivo. Ecco perché si potrebbe (dovrebbe?) cominciare a usare questo termine, «rischioesposti», invece del decisamente troppo abusato «stakeholder».

Premessa: questo termine non è mio, l’ho preso a prestito (rubato, più esatto). Ma ho chiesto l’autorizzazione al legittimo proprietario, per dir così. Un docente universitario che ho avuto il piacere e aggiungerei la fortuna di ascoltare a un convegno durante il recente Salone della Csr e dell’Innovazione sociale di Milano. È il bello del mio lavoro, quello di poter ascoltare riflessioni interessanti, per non dire illuminanti, da chi si occupa di questi argomenti da decenni. E di continuare a imparare.

Ebbene. Ammetto che non avevo mai sentito usare prima questo termine, rischioesposti, ma mi ha subito colpito. Per la sua simpatia. E soprattutto perché mi pare efficacissimo nel sottolineare una delle dimensioni fondamentali dell’essere stakeholder, quella appunto di essere esposto a un rischio, a dei rischi. Quelli derivanti dall’impatto sociale e ambientale delle imprese, in primis quelle che operano intorno a me, vicino a me, in senso spaziale ma non solo, insomma le imprese con cui ho più a che fare per dove abito e mi muovo, per quello che acquisto e consumo, insomma in ragione della mia vita.

Il ruolo di stakeholder, ovvio, non prevede solo una dimensione di rischio. C’è anche quella del vantaggio, chiamiamolo pure beneficio, che può derivare sempre dallo stesso impatto sociale e ambientale di cui sopra.  Ma parlare di rischio secondo me è più efficace. Arriva prima e più chiaramente. Fa drizzare le antenne con più immediatezza. Senza scomodare discorsi sulle esternalità negative, mi pare che sottolineare la dimensione del rischio renda più facilmente consapevoli del proprio ruolo di stakeholder, come cittadini in generale e come consumatori in particolare. Anzi, come consumattori.

E allora, come quando si uniscono i puntini su La Settimana Enigmistica per dar forma alle figure che a una prima occhiata non si possono vedere, proviamo a unire qualche puntino. Anche solo due o tre. Primo: sono uno stakeholder. Poi: sono un rischioesposto. E ancora: sono un consumattore. Che figura esce? Per me, questa: un consumattore che può agire per ridurre i rischi a cui è esposto come stakeholder. Di più: un consumattore che se si unisce a tanti altri consumattori che hanno la stessa sensibilità (o la stessa avversione al rischio-cui-sono-esposti, se vogliamo) può veramente pensare di ridurre quei rischi in maniera generalizzata, insomma per tutti.

Se gli stakeholder-rischioesposti-consumattori (sono sempre le stesse persone…) uniscono le loro consapevolezze e iniziano ad agire in modo coordinato, credo che potrebbero davvero costituire un’importante (decisiva?) forza di cambiamento per rendere l’economia meno rischiosa in senso sociale e ambientale e quindi noi tutti meno vulnerabili. Credo anche che troverebbero più facile ascolto nelle imprese. Anzi, per dirla tutta credo che le imprese più illuminate potrebbero arrivare a fare a gara per dialogare con gruppi, comunità, popolazioni di rischioesposti, per chiedere loro consiglio su cosa va fatto e cosa non va fatto per essere imprese meno…rischioesposte a sé stesse?

@andytuit

 


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