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Cittadinanza attiva VS Passiva

di Dino Barbarossa

La parola “Cittadinanza” si è ormai legata al concetto di “reddito” e sembra che sia la presenza di un reddito a renderci cittadini. Questa associazione terminologica nasconde l'idea di assegnare titolarità e diritti solo a coloro i quali sono “abitanti o residenti in uno Stato del quale possiedono la cittadinanza avendone i conseguenti diritti e i doveri”. Sfugge a questa dinamica il fatto che Cittadino è, innanzitutto, Persona, “unica e irripetibile”, appartenente al genere umano e dunque uguale alle altre persone.

Nella definizione che più mi piace invece il cittadino è una persona che si impegna per costruire un percorso di vita virtuoso e, al tempo stesso, per il bene comune, per la propria comunità, per il proprio territorio e che ha a cuore il benessere universale.

Questa “Cittadinanza” è attiva, è consapevole, è collaborativa e produce un miglioramento complessivo in termini qualitativi. Viceversa, colui o colei cui viene assegnato il titolo di cittadino sol perché gli si riconosce un diritto per distinzione e lo si vuole agevolare, costruisce un’identità passiva, propria ed altrui: la sua è una cittadinanza passiva.

In un contesto sociale nel quale occorre “fare fatica” per costruire stabilità e produrre benessere per se e per gli altri, l’idea che ci possa essere un qualsivoglia sussidio che non costa fatica, è sbagliato. Vero è che si dice “se non produci, se non t’impegni, te lo togliamo”, negando così il nesso fra “cittadinanza” e “diritto” su cui il sussidio si basa. Ma poi, questo impegno a cosa dovrebbe ancorarsi, se manca la consapevolezza e la convinzione che esiste un circuito virtuoso a cui dare un proprio contributo?

Per chi o cosa ci si deve impegnare: per uno sviluppo che potrebbe non appartenermi? per un benessere altrui? Per un beneficio transitorio ed aleatorio? Per una solidarietà che non mi riguarda?

L’impegno, che è il cuore della Cittadinanza attiva, vincolo morale assunto verso qualcuno, è una necessità e/o qualcosa in cui si crede fermamente, è una promessa di futuro.

Le politiche pubbliche di sostegno ai cittadini più fragili, dovrebbero proprio partire da una considerazione delle capacità, delle competenze, delle sensibilità di cui ciascuna persona è portatrice e dargli un’opportunità per metterle a frutto.

Senza investimenti sulle persone e con le persone, senza investimenti produttivi stabili, le politiche pubbliche che apparentemente puntano all’inclusione attraverso il sussidio, sono destinate ad essere perdenti, a produrre cittadinanza passiva, ad allargare la platea di cittadini che rimangono in attesa del “prossimo sussidio”.

Un po’ come avviene secondo logiche solo clientelari, costruendo politiche “attive” del lavoro che sono solo produttrici di precariato, di sfruttamento, di falsi miti e speranze.

Va anche considerata la necessità, direi l’imprescindibilità, di valorizzare i corpi sociali intermedi, le tante forme di cittadinanza attiva organizzata che dal dopoguerra e fino ad oggi hanno costituito l’elemento di coesione sociale e spesso l’ancora di salvezza di uno Stato che non riusciva ad affrontare le tante emergenze sociali.

L’idea che si debbano eliminare queste realtà e che ci si torni alla vecchia visione di Welfare state, confrontandosi direttamente con i cittadini, rende più debole lo Stato e, soprattutto, rende più deboli i cittadini.

La scoperta delle potenzialità di ogni persona è la grande scommessa per realizzare la cittadinanza attiva. Dare valore a ciascuno secondo il suo valore: nessuno “scarto”.

“Nella società non ci possono essere scarti, ma solo cittadini di identico rango e di uguale importanza sociale. Una diversa visione metterebbe in discussione i fondamenti stessi della nostra Repubblica” (Sergio Mattarella).


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