Media, Arte, Cultura

Le discriminazioni del non profit americano

di Giuseppe Frangi

Gli americani secondo il Chronicle of Philanthropy sono i più generosi del mondo: il 2% del Pil ogni anno viene destinato in donazioni. Il 65% delle famiglie fa almeno una donazione all’anno e questo complessivamente significa per ogni americano, bambini compresi, 732 dollari (ovviamente la media è alzata dalle donazioni delle imprese).

Partendo da questi dati Dan Pallotta, fundriaser e autore di “Charity Case: How the Nonprofit Community Can Stand Up for Itself and Really Change the World.” ha innescato una ploemica dalle colonne del Wall Street Journal: perché a un settore che muove numeri come questi deve essere impedita una crescita simile al settore profit? Secondo Pallotta questo è esito di una cultura puritana, che ha voluto ripulirsi dalla spregiudicatezza aggressiva con cui si arricchisce, inventandosi un pezzo di mondo che obbedisce a criteri opposti: nel senso dell’autoprivazione e della demonizzazione di ogni forma di profitto. La lettura è suggestiva e condotta con determinazione molto yankee da Pallotta. In sostanza, questa logica è pesantemente discriminatoria nei confronti del non profit. Se dal 1970 a oggi le non profit che in America hanno superato la soglia dei 50 milioni di dollari di fatturato sono 144 (secondo George Overholser e Sean Stannard Stockton, autori del blog Tactical Philanthropy), il numero delle profit che nello stesso arco di tempo hanno superato quella stessa soglia è di ben 46.132 imprese. Perché il non profit americano ha accumulato tanto ritardo? Pallotta individua cinque cause discriminatorie. Tra cui questa: «Il fatto che il profit paghi stipendi alti ai suoi dirigenti non scandalizza nessuno. Invece abbiamo una reazione viscerale appena sappiamo che viene pagato qualcuno che lavora per aiutare gli altri. Pagare 5 milioni di dollari una persona per sviluppare un videogioco pieno di violenza? Ci sta. Pagare una 500mila dollari chi cerca di trovare una cura per leucemia pediatrica? Viene bollato come aprofittatore».

Gli altri quattro elementi di discriminazione li potete leggere alla fonte. Sottolineiamo solo la conlcusione di Pallota: «Il businness non può risolvere i problemi del mondo. Il capitalismo lo può fare solo se libera il non profiit,  permettendogli di prendere i migliori talenti del mondo, di rischiare sul fundrasing, di usare strategie di marketing aggressive e di investire capitali in modo da avere risorse per le proprie azioni». Tutto molto americano….

 

 

 


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