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Renzo Piano e la fragilità

di Giuseppe Frangi

Settimana scorsa, Renzo Piano è venuto a Milano (anzi a Sesto San Giovanni) per il varo del grande progetto della Città della salute, che dovrà sorgere sull’area un tempo occupata dalle acciaierie Falck e dove traslocheranno l’Istituto Besta e l’Istituto dei Tumori. 152mila quadri per uno dei più importanti poli della salute in Europa. Renzo Piano che ha firmato il progetto ha parlato davanti ad una platea numerosissima, quasi 1500 studenti, su invito di Stefano Boeri. Tra i temi che ha toccato nella sua lezione ce n’è uno sul quale l’architetto sta tornando con sempre maggiore frequenza. Ed è il tema della fragilità. La fragilità entre nei suoi discorsi nelle più diverse accezioni, quasi com un leit motiv. C’è la fragilità della terra, per cui l’architettura deve tener come priorità il tema della sostenibilità. Un’attenzione che può portare a scelte anche coraggiosamente radicali, come ha fatto l’architetto genovese con il museo della Scienza di San Francisco, «grandissimo edificio pubblico, dove non abbiamo realizzato l’impianto dell’aria condizionata», ha spiegato (qui un po’ di foto dell’edificio). «Nel Novecento l’architettura ha rappresentato tante cose compresa la globalizzazione. Questo secolo invece, apre con la chiara constatazione che l’elemento forte ispiratore dell’architettura sarà la fragilità della terra. Perciò ci sarà un linguaggio nuovo (o almeno così mi auguro), per costruire edifici più trasparenti, più leggeri, più permeabili e anche più sensibili».

C’è poi l’altro grande tema della fragilità delle persone. Ad esempio nel progetto per un tribunale a Parigi, appena approvato, Piano ha spiegato così le sue scelte: «La struttura in vetro e acciaio dovrà ispirare “fiducia e serenità“ per tenere conto dello “stato di fragilità” di chi all’interno di una delle 90 sale d’udienza dovrà essere giudicato». Un’attenzione che diventa ancora più centrale nella costruzione di un ospedale come nel caso della Citta della Salute. «L’appuntamento a Sesto San Giovanni era importante, perché era un modo per confermare questa mia volontà verso tutte le possibili fragilità, una volontà che è l’elemento essenziale del mio impegno da senatore. Nell’ospedale, da malato, sei come sospeso, in attesa di una risposta e per questo sei fragilissimo. Nelle periferie, così spesso trascurate, dimenticate, trasformate in luoghi senza nessuna identità sei altrettanto fragile. E come non definire fragile la condizione dei giovani oggi? Per non parlare di detenuti o di carceri sovraffollate e disumane?»

Infine a completamento di questa sua “priorità” c’è stato anche l’annuncio di un progetto concreto: «io l’unica cosa che posso fare è lavorare sulla bellezzadel nostro paese ma soprattutto sulla sua fragilità, non solo geofisica o sismica. C’è la fragilità delle scuole, degli ospedali, delle carceri. Ecco il mio progetto è avere sei giovani che lavorano ogni anno su questi temi. Uno vorremmo che fosse proprio un carcerato».

Certamente è una presa di coscienza importante che segna un passaggio storico: la dimensione di potenza connessa alla cultura (e al successo mediatico) delle archistar è, si spera, orizzonte del passato. Oggi bisogna cambiare visione e approccio. Il nuovo millennio ribalta quella prospettiva. E l’architetto è chiamato a percorrere strade opposte, non pervasive, leggere, funzionali. Per le nuove generazioni è un’opportunità per soppiantare culturalmente (e quindi si spera anche lavorativamente) i grandi imperatori dell’architettura di oggi. Fatevi sotto.

 


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