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L’ultimo capolavoro di Giuseppe Verdi

di Giuseppe Frangi

Personalmente ammetto di non capire molto di musica, ma di amare infinitamente Giuseppe Verdi, di cui è appena stato festeggiato il bicentenario: lo “sento” come uno che pur essendo grande, resta sempre molto famigliare, con quei motivi capaci di accompagnare ogni stato d’animo e ogni momento della vita.

Ma amo ancor di più Verdi da che mi è capitato di leggere il suo testamento, rintracciato dopo aver letto un interessante articolo di Stefano Malfatti pubblicato sul giornale della Don Gnocchi. Il testamento di Verdi è una piccola lezione di civiltà (e aggiungerei di civiltà italiana, perché l’attenzione ai luoghi e alle singole persone è tutta molto italiana). Verdi, com’è ben noto, lasciò la gran parte della sua ricchezza, cioè i diritti d’autore alla Casa di Riposo per vecchi musicisti che ancora esiste a Milano, in Piazza Buonarroti: «Lascio all’Opera Pia Casa di Riposo per Musicisti eretta in Ente Morale con Decreto 31 dicembre 1899, oltre lo sabile da me fatto costruire… tutti i Diritti d’Autore sia in Italia che all’Estero di tutte le mie opere, comprese tutte le partecipazioni a me spettanti in dipendenza dei relativi contratti in cessione», sta scritto al punto 14 del Testamento verdiano.

Ma prima di arrivare a quel punto 14, ecco cosa si trova (mi limito ai primi quattro punti): «1. Lascio agli Asili Centrali della Città di Genova la somma di lire ventimila. 2. Lascio allo Stabilimento dei Rachitici della Città di Genova la somma di lire ventimil. 3. Lascio allo Sabilimento dei Sordo Muti della Città di Genova la somma di lire diecimila. 4. Lascio all’Istituto dei Ciechi di Genova lire diecimila…»

Poi si passa ai domestici, come Guerino Balestrieri, che «è al mio servizio da molti anni». Poi al punto 9 è la volta del Monte di Pietà di Busseto cui vengono lasciate proprietà con l’obbligo di «sussidiare l’Ospedale di Busseto e l’Istituto degli Asili Nido di Busseto e di «distribuire l’elemosina di 30 lire per ciascuno per 50 poveri del mio villaggio nativo le Roncole». Ma al Monte è anche chiesto di assicurare un sostegno di 70 lire mensile a due giovani per quattro anni «i quali si siano allo studio teoprico-pratico dell’agricoltura». Finito il loro percorso, annota Verdi, «si provveda a nuove nomine».

Penso che sia inutile tirare una morale. Le parole scritte dicono e raccontano a sufficienza. Mi vien da dire una cosa sola: questa è “cultura” nel senso pieno del termine. Un qualcosa che si genera dentro una relazione, che dissemina bellezza,  e finisce con il disseminare anche ricchezza e solidarietà.


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