Media, Arte, Cultura

Cosa mi piace e cosa no del Salone del Mobile

di Giuseppe Frangi

Ci sono buoni motivi per essere contenti della Milano del Salone del Mobile: creatività, vitalità, spazio ai giovani, evento diffuso, internazionalismo. Sono tutti elementi che fanno di questi sei giorni un qualcosa di davvero unico di cui andare giustamente orgogliosi. Il design è quel crocevia straordinariamente interessante in cui  innovazione, gusto, fantasia e artigianalità confluiscono in processi industriali. E si misurano con le domande e le esigenze di nuovi stili di vita delle persone. È una filiera oltretutto che dimostra di essere ancora sana, nonostante la fase critica attraversata da alcuni grandi marchi. Secondo i dati resi noti dalla Camera di Commercio di Milano e Brianza il fatturato del settore in Lombardia è cresciuto del 12,9% (ha raggiunto i 9,7 miliardi di euro). Ma è più interessante la notizia che Milano e Monza si sono piazzate al secondo posto in Europa per numero di brevetti depositati nel settore del mobile, precedute solo da una città tedesca, Herford.

Quest’anno inoltre il Salone del Mobile ha provato ad anadre oltre la semplice logica degli eventi (sono ben 935 in sei giorni in città) sostenendo una mostra di grande valore culturale e anche civile: quella di Bernardino Luini a Palazzo Reale. Un artista del 500 che come pochi altri ha saputo restituire in pittura il cuore di questa città. A firmare l’allestimento della mostra è uno dei pezzi da 90 del design milanese, Piero Lissoni (con una prestazione a titolo gratuito: anche questo è fattore significativo).

Quest’anno anche il non profit dice la sua con la presenza importante di San Patrignano che con il suo Design Lab sarà nei padiglioni della Fiera di Rho, a fianco dei grandi marchi storici. Il Design Lab di San Patrignano era nato tra i primi settori di formazione professionale della Comunità negli anni 80. Qui potete vedere in anteprima le collezioni che verrano presentate quest’anno.

Ma ci sono anche dei “ma”: e riguardano soprattutto il rischio che il fumo affascinante sollevato da queste giornate nasconda il problema della perdita di competenze artigianali che sono sempre state il segreto della filiera del design e del mobile. È un deficit di scuole e di trasmissione di professionalità: Milano è stata attrattiva prima ancora per le grandi firme del desing per la capacità di mettere in opera le idee che designer da tutto il mondo sognavano di realizzare. Il Salone del Mobile deve comunicare questa passione del fare, del lavoro intelligente sui dettagli, che unisce competenze tecnologiche e abilità manuali. È una scommessa a cui si lega la possibilità di aprire prospettive lavorative ai giovani, attingendo a un dna che ancora c’è ma che non si può alimentare solo dell’effervescenza di queste giornate.


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