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Milano, anno 1456: lezione di welfare

di Giuseppe Frangi

Milano, 1 aprile 1456, un decreto del duca Francesco Sforza annuncia la decisione di dotare la città di «un grande e solenne ospedale». Qualche giorno dopo il duca con la moglie Bianca Maria Visconti mettevano la prima pietra dell’“hospitale grando” che accorpava 16 presidi sanitari dispersi in città. La Ca’ Granda deve il suo nome al fatto di essere stata un’opera di tutta la città, cresciuta nei secoli grazie al lavoro offerto volontariamente da tante maestranze e grazie in particolare alle donazioni dei cittadini, a partire da quella iniziale, di Francesco Sforza e soprattutto di sua moglie Bianca Maria Visconti, convinta promotrice di una nuova politica assistenziale. Oggi la Ca’ Granda è sede dell’Università Statale. E qualche giorno fa è stata annunciata un’iniziativa per riscoprire e far riscoprire la straordinaria storia che ha segnato questi edifici. È un’iniziativa congiunta della Fondazione Ca’ Granda e dell’Università, affidata per la parte storica a Francesca Vaglienti. Pannelli esplicativi studiati ad hoc rivelano la storia e le funzioni di quegli spazi. Mentre un gruppo di studenti della Statale è stato preparato per garantire la possibilità di visite guidate.

C’è tutto il meglio di Milano nella storia della Ca’ Granda. C’è innanzitutto la capacità di innovare e migliorare i servizi alla persona. Le attenzioni messe in atto già in quella fine del 1400 sono assolutamente avanti con i tempi. La Crociera di destra, la prima ad essere costruita, era in grado di accogliere ben 1600 persone, tra malati e personale. Ma è la qualità del trattamento che stupisce, come ha ricostruito Francesca Vaglienti, la docente di Storia che ha curato il progetto. Tra le priorità che il duca Francesco segnala al suo architetto il Filarete, c’è quella di progettare i gabinetti: ce ne sarà uno ogni due letti, tutti serviti da acqua corrente per garantirne la pulizia. C’erano grandi lavandini in pietra muniti di secchielli in metallo. Il riscaldamento era garantito da due enormi camini, mentre d’estate venivano distesi a metà altezza delle crociere teli bagnati per rinfrescare gli ambienti. I materassi erano in piume, regalati dal duca Galeazzo Maria Sforza (successore di Francesco); i malati al momento dell’ingresso erano forniti di camiciole in lana di Vigevano, di calzature e di berrette bianche. I letti venivano rifatti due volte al giorno e ogni malato era dotato di armadietto e ribaltino che fungeva da tavolino dove poteva pranzare seduto.

Poi ci sono gli aspetti di innovazione nell’organizzazione sanitaria, con le prime statistiche cliniche, volute dal Duca, che grazie ad un sistema accurato di registrazione dei decessi in un apposito ufficio chiamato del Catelano, aiutava a prevenire i contagi e facilitava la pratica medica.

Uno dei quattro cortili della Crociera si chiama tutt’oggi della Farmacia, perché già nel 1470 qui erano state insediate due botteghe destinate alla preparazione di medicinali esclusivamente destinati ai ricoverati: erano i “medicamenti del duca” le cui formule non potevano essere segrete e la cui efficacia veniva continuamente monitorata. Tra i maestri speziali, così si chiamavano i farmacisti, nel 1487 venne anche nominata una donna, Modesta Codeboni. Addirittura nell’Ospedale venivano adottate diete calibrate sulle esigenze dei singoli pazienti, stando attenti che una volta dimessi potessero continuare con il tipo di alimentaziuone adatta, che quindi doveva essere alla portata economica del malaato.

Chi poteva essere ricoverato alla Ca’ Granda, primo ospedale pubblico d’Italia? La risposta è semplice: tutti. Senza differenza di censo e con porte aperte anche ai forestieri.


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