Attivismo civico & Terzo settore

Il paradosso della filantropia

di Bernardino Casadei

Spesso le fondazioni e gli enti d’erogazione pretendono di confrontarsi con temi estremamente importanti e complessi. Purtroppo però le risorse di cui dispongono sono di norma modeste e comunque inadeguate al conseguimento degli obiettivi individuati, siano essi lo sradicamento della povertà, la lotta alla disoccupazione giovanile, la tutela dell’ambiente o il benessere dell’umanità. Succede così che esse vengono impiegate in iniziative i cui beneficiari sono in realtà una quota limitatissima, quasi irrisoria, dei soggetti che ne avrebbero bisogno. Conseguenza di tutto ciò è che tutti si sentono soddisfatti: le fondazioni, in quanto hanno il sentimento da aver dato il loro contributo nei limiti delle loro potenzialità e coloro che hanno ricevuto il sostegno avendo ricevuto un sollievo insperato, ma il problema non è stato minimamente intaccato e di fatto permane praticamente nelle stesse forme di come era prima dell’intervento.

Per chi non vuole accettare passivamente questo paradosso sono però a disposizione alcune strade che gli enti d’erogazione possono percorrere e che in realtà già percorrono. Da un lato è sempre possibile ridurre l’ambito del proprio intervento e concentrarsi su problematiche che siano coerenti con le proprie risorse; dall’altro, per chi non vuole limitare le proprie ambizioni, è possibile immaginare strategie più articolate e gestibili che, eventualmente, possano contemplare la creazione di coalizioni sufficientemente grandi così da avere una concreta possibilità di conseguire gli obiettivi sperati.

Per esempio, davanti all’emergenza povertà, è possibile iniziare a concentrarsi sull’emergenza alimentare, per poi passare a quella abitativa, considerate come prerequisiti e leve necessarie per affrontare l’emergenza lavorativa, la quale sola potrà permettere ai singoli di uscire dalla situazione di indigenza. Più nello specifico, invece di allocare le risorse disponibili con modalità poco strategiche, per esempio incrementando il valore delle social card,  si può iniziare col preparare gli enti caritatevoli a far fronte alla fine, che avverrà fra pochi mesi, del progetto PEAD, il quale ha permesso di distribuire tonnellate di eccedenze agricole europee agli indigenti, sia dando una risposta immediata all’emergenza, sia costruendo fonti d’approvvigionamento alternative, magari attraverso una migliore lotta allo spreco alimentare. In questo modo, anche con risorse modeste, è possibile dare un contributo importante alla gestione di un problema estremamente delicato ed importante.

In pratica, invece di limitarsi ad erogare risorse, la filantropia istituzionale dovrebbe utilizzare le proprie energie per individuare soluzioni e quindi capire come investire al meglio le proprie energie per realizzarle. A volte quello che è necessario è lo sviluppo di saperi, altre volte è la loro diffusione, piuttosto che una maggiore consapevolezza fra la pubblica opinione o fra i cosiddetti decision makers. Oppure si tratta di sostenere quelle ampie coalizioni intersettoriali che sole possono sperare di affrontare, con qualche speranza di successo, i complessi problemi che contraddistinguono la nostra società. In ogni modo bisogna chiedersi come e a quali condizioni, la propria attività potrà contribuire alla soluzione del problema, evitando che si riduca ad un mero palliativo, privo di reale incidenza nella comunità nella quale si intende operare, sia essa locale, nazionale o internazionale.

Limitare l’impatto delle proprie erogazione alla sola produzione di beni e servizi, per quanto importanti questi possano essere, non è di norma sufficiente. Per trasformare i propri contributi in investimenti, essi devono generare, anche altro: sapere, relazioni, ulteriori risorse, ecc. Per questo è necessario che gli enti d’erogazione si strutturino per raccogliere e valorizzare anche questi aspetti. Nel contempo, per non sprecare il tempo proprio e quello delle nonprofit, è opportuno evitare che il numero dei potenziali richiedenti sia troppo elevato rispetto a quelli potenzialmente finanziabili, eventualmente imponendo criteri di selezione più stringenti o altri vincoli, soprattutto quando le richieste rischiano di essere molto simili e quindi i costi collegati alla selezione non sarebbero compensati dal valore aggiunto che le iniziative selezionate potrebbero portare rispetto a quelle scartate.

Erogare contributi è un’arte e una scienza, a detta di Aristotele, più adatta ad un dio che ad un essere umano. Non basta fare del bene e non basta neppure farlo bene. Bisogna inserire i propri sforzi in una prospettiva di lungo periodo, elaborando una visione che abbia una sia pur remota speranza di successo, altrimenti tutti i nostri sforzi rischiano di essere inutili e di generare solo un illusorio compiacimento che però lascia il tempo che trova. Vincere questo paradosso della filantropia istituzionale è forse la sfida più difficile e impegnativa che attende il nostro mondo, ma è anche quella che ci può permettere di dare una prospettiva di speranza alla società in cui viviamo.


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