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Un nuovo ruolo per la filantropia: innescare la potenza rivoluzionaria del dono

di Bernardino Casadei

La filantropia istituzionale ha sempre avuto l’ambizione di svolgere un ruolo strategico nel dare una risposta alle sfide della società. In realtà bisogna ammettere che tale ambizione si è rivelata alquanto velleitaria ed è difficile indicare cambiamenti sociali rilevanti che sono stati innescati grazie agli investimenti delle fondazioni. La riflessione sulla forza del dono che abbiamo potuto sperimentare durante il primo master per Promotori del Dono promosso dall’Università dell’Insubria e dalla Fondazione Comasca può però aiutarci ad identificare opportunità molto interessanti.

Per poter svolgere un ruolo efficace con risorse limitate è infatti necessario operare sulla base di un’interpretazione del reale che sia originale e feconda. Si tratta in primis di stabilire se la crisi presente sia essenzialmente crisi economica, che ci si può illudere di superare con un aumento del PIL o se sia al contrario una crisi ben più profonda che penetra alle radici della società e quindi domandarsi se essa sia il frutto di un’inadeguata modernizzazione o se invece rappresenti la crisi dell’idea stessa di modernità così come si è sviluppata a partire dal XVII secolo.

Se si propende per questa seconda interpretazione, occorre trovare le forze e gli strumenti che ci permettano di andare oltre la modernità e quindi di individuare una forma di energia che:

  1. la modernità abbia trascurato, perché altrimenti l’avrebbe già utilizzata;
  2. ci offra una leva che non sia pensabile dal pensiero moderno, la cui essenza, la razionalità formale, è estremamente potente, perché non ci si può illudere di risolvere un problema partendo dai fattori che lo hanno generato;
  3. sia effettivamente in grado di dare una risposta a quella che è la causa principale del nostro malessere, ossia la disgregazione della comunità e la conseguente disumanizzazione della nostra esistenza.

In realtà questa forma di energia esiste e su chiama dono; forza che è ben presente nella vita di ciascuno di noi, ma che la modernità non ha utilizzato, considerandola un residuo arcaico destinato ad essere sostituito dai nuovi strumenti che l’ingegneria sociale avrebbe elaborato. Inoltre il dono, come atto di libertà, non è riconducibile alla razionalità formale, questo non significa che il pensiero strumentale non possa cercare di piegarlo ai suoi fini, ma quando questo accade, il dono cessa di essere tale, per trasformarsi in qualcos’altro. Infine, sin dalla preistoria, il dono è sempre stata la modalità più efficace per creare e coltivare le relazioni umane.

Se il dono può quindi offrirci una prospettiva nuova e feconda per affrontare la crisi presente, se esso rappresenta un enorme serbatoio di energia che stiamo utilizzando solo marginalmente, esso per manifestare tutte le sue potenzialità ha bisogno di un soggetto sociale che abbia l’interesse soggettivo ed oggettivo ad incarnarlo. Solo così potremo valorizzarlo e usufruire de suoi benefici.

Ora il soggetto storico che ha tutto l’interesse a promuovere il dono è senza ombra di dubbio il privato sociale e ciò per almeno tre ragioni. Si tratta di un settore:

  1. che deve procurarsi risorse ora che non può più limitarsi ad erogare servizi per conto terzi, dove il terzo era la pubblica amministrazione, e il dono è sicuramente in grado di generarne;
  2. che ha un evidente bisogno di definire positivamente la propria identità, dato che l’essersi qualificato in termini negativi (non profit o non governativo) o come terzo, lo pone in una situazione di inferiorità rispetto agli altri due, e che invece può trovare nel dono l’elemento in grado di unificare realtà così diverse come quelle che lo contraddistinguono e nel contempo di distinguerlo da altri soggetti (imprese profit e pubbliche amministrazioni) che difficilmente possono fare del dono una parte integrante della loro identità;
  3. il cui ruolo principale, ruolo che va ben al di là dei pur importanti servizi che è in grado di produrre, deve essere cercato nella sua capacità di generare quella fiducia e quel capitale sociale che è il fondamento stesso del corretto funzionamento delle istituzioni democratiche così come di quelle del libero mercato; fiducia e capitale sociale che trovano proprio nel dono la loro linfa vitale.

Perché questa opportunità diventi vita è però necessario che il privato sociale ne sia consapevole, cosa che oggi è lungi dall’essere vera. È quindi necessaria un’intensa attività che permetta di:

  1. Animare una riflessione culturale che permetta a tutti i cittadini di diventare consapevoli della fecondità di tale prospettiva nel rispondere alle loro esigenze più vere e profonde;
  2. Dotare la nostra società di un’infrastruttura che aiuti concretamente a donare, ruolo che organizzazioni come la Fondazione Italia per il Dono stanno iniziando a svolgere con crescente efficacia;
  3. Formare delle nuove professionalità che siano in grado di operare all’interno delle singole organizzazioni non profit e, attraverso la promozione del dono, trasformino la raccolta fondi da male necessario con cui pagare le bollette, in parte integrante della propria identità, cosa che abbiamo potuto sperimentare concretamente proprio grazie al Master per Promotori del Dono.

Dare concretezza a questi obiettivi è certamente possibile per la filantropia istituzionale, la quale potrà così aiutare il privato sociale a diventare consapevole delle proprie immense potenzialità, ma anche della sua altrettanto grande responsabilità nel permettere alla nostra società di andare oltre la crisi della modernità. Dedicarvici potrebbe diventare una via reale e non più velleitaria per trasformare la proprie illusioni in concrete speranze con cui costruire un mondo che sia effettivamente migliore di quello in cui viviamo.


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