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#NoSlot. Etica attiva e disobbedienza civile

di Marco Dotti

In un libro pubblicato qualche anno fa, il professor Leonardo Becchetti ricordava che il mercato siamo noi. Una buona parte di ciò che chiamiamo “mercato”, infatti, è determinato dalle nostre scelte di acquisto, di investimento e – soprattutto – di vita. 

Inutile, sul piano di queste scelte, accusare «i grandi poteri e chi ha in mano le leve del comando – scriveva Becchetti – perché la responsabilità ultima è nostra». Le decisioni o le non decisioni dei cittadini possono infatti pesare sulle imprese quanto e forse persino più di quanto i voti influenzino parlamenti e governi.

Possiamo scegliere un luogo o un prodotto anziché un altro, andando ad acquistare broccoli e carote in un mercato a km zero. Possiamo prendere un cappuccino in un bar senza slot machines (ricordiamo che Becchetti è tra i fondatori dell’iniziativa SlotMob) alimentando così un mercato virtuoso e senza azzardo.

Con gesti minimi possiamo dare corso pratico a scelte fondate su etica e convinzione. Scelte che peseranno sul sistema e in qualche misura lo orienteranno. Ma per essere tali – ossia fondate su etica e convinzione – queste scelte devono basarsi su una conoscenza non asimmetrica della realtà.

A mio avviso un punto critico del questione – superato il quale sarà possibile un salto di qualità nell’azione – risiede in questa asimmetria. Un’asimmetria, però, che in gran parte dipende dalla nostra pigrizia. Non ci informiamo, aderiamo, firmiamo, partecipiamo ma non vigiliamo abbastanza. Insomma, per dirla col Manzoni, in giro di buon senso ce n’è, ma è sopraffatto dal senso comune. Gridare all’untore (il mafioso, il corrotto, il lobbysta, il traditore) rende, in termini mediatici e simbolici, ma sul piano piano pratico arreca più danni che soluzioni.

Il punto chiave, il punto decisivo, il punto dirimente sull’azzardo non è la legalità o l’illegalità del sistema, ma la concezione dell’uomo che sta dietro al sistema stesso. La concezione che struttura il sistema dell’azzardo di massa è perversa in sé, non perché mafiosa.

Questo nulla toglie alle specificità dei fenomeni di mafia e alla necessità di contrastarli, ma scambiare la parte con il tutto è fonte di paralisi e disillusione. Quando l’avversario prende la consistenza del fantasma – tutto questo insistere sulla Mafia come astrazione e non sulle pratiche e sulle dinamiche concrete della stessa – diventa difficile colpirlo. Per questa ragione Manlio Sgalambro amava dire che la mafia si sconfigge con la logica, non con la polizia. Comunque, non v’è dubbio che una visione perversa dell’umano presieda anche all’antropologia mafiosa. Ma un sistema che mette a valore la miseria, priva l’uomo di ogni volontà di scelta, lo seduce e lo inchioda in un universo parallelo dinanzi a una macchina, una visione del genere non cessa di essere perversa solo perché non mafiosa e condotta nella piena legalità.

Per affrontare un problema, prima di tutto bisogna porselo. E porselo nei termini più chiari e precisi. Nel caso del gioco d’azzardo, questa conoscenza sembra ancora fermarsi a un livello troppo basso, elementare, per incidere davvero nei processi. L’etica passiva ci chiede di non violare delle norme. Ma limitarsi a questo può orientare verso quella “banalità del male” di cui parlava Hannah Arendt. L’etica attiva, invece, ci chiede di orientare la nostra  azione verso un ideale di “quotidianità del bene” non sancito da norme. Ma anche questo potrebbe non bastare e allora si innescherebbe il terzo processo, che è rottura dell’etica passiva per intensificazione di quella attiva e che H. D. Thoreau definiva come the duty of civil disobedience, il dovere della disobbedienza civile.

Trent’anni fa o giù di lì, James V. Mc Connell, uno dei più controversi psicologi americani, studioso di comportamentismo e stimolazione subliminale, alla vigilia di un controverso esperimento di psicochirugia affermava: 

«Sentite, noi queste cose possiamo farle. Possiamo controllare il comportamento. Ma chi dovrà decidere ciò che bisogna fare? Se non vi sbrigate a preoccuparvene e a dirmi che cosa dovrei fare, lo deciderò io anche per conto vostro. E allora sarà troppo tardi».

O agiamo e controlliamo o altri lo faranno per conto nostro. Tertium non datur. Non è più tempo di bandierine alzate e denunce a vuoto. È il tempo delle decisioni e delle pratiche – che prima ancora di essere buone devono essere tali, ossia capaci incidere la pelle del reale. Come nel caso del consumo, anche in quello dell’azzardo le nostre scelte possono ricadere virtuosamente sul sistema.

Provate a osservare la struttura societaria dei principali Concessionari di Gioco italiani. Vi accorgerete che sono società che, al loro interno, hanno un’offerta di “prodotti” che non si limita al gioco, ma va dai sistemi di pagamento all’editoria, dall’editoria scolastica alle convenzioni con i comuni per il pagamento dei tributi. Esiste un “lato buono delle cose”, insomma. Siamo davvero sicuri che orientare in un modo o nell’altro le nostre scelte  di consumo anche in questo caso non possa pesare? Oppure è proprio questo l’uovo di colombo che può finalmente trasformarci – dopo tante parole su lobby e lobbisti – in una lobby positiva e senza vertici, basata su un’idea attiva di cittadinanza e, perché no, su una sana, doverosa disobbedienza civile?


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