Paga e vinci: se le banche si mettono a “giocare”

di Marco Dotti

Tra pay e play la differenza, a prima vista, è solo in una consonante. Pagare e giocare fanno rima anche in italiano, ma da qui a pensare che il solo modo per reclamizzare un prodotto debba essere una comunicazione legata al gioco ce ne passa. Oramai c’è un gioco per tutto, presto ci saranno giochi e concorsi a premio anche per chi desidera soltanto non dover più giocare. 

Parliamo tanto di “creatività” e “innovazione” ma poi l’unica cosa che sappiamo fare è intercettare le parole che ricorrono con più frequenza, sul web o tra la gente. Gioco (play), ma anche pagamento (pay) sono tra queste. La connessione è rischiosa, soprattutto quando, in un modo o nell’altro, c’è di mezzo il denaro. Aristotele – che se ne intendeva – nella Politica divide due modi di trattare il denaro, incompatibili e in conflitto: il primo, è quello della responsabilità e della buona economia (crestomazia); il secondo, più che un modo è – si esprime proprio così – “più simile a uno stato della mente”, un gioco.

Torniamo a noi. Me ne stavo tranquillo, con la mia carta della BCC nel cassetto, quando vengo svegliato da un messaggino che mi dici di andare sul sito della  carta e giocare.

Inizialmente penso al solito spam, poi qualcosa mi fa ricredere. E in effetti, non di spam, ma di pubblicità a un gioco veicolato proprio sul sito della mia carta si tratta. Un modo per “fidelizzare” il cliente, indorandogli la pillola dell’obbligo di pagamento con il pos, visto che si giocano i numeri della ricevuta del bancomat?

Sia quel che sia, a me interessa la comunicazione. E di questa comunicazione, fintamente ingenua, ne abbiamo abbastanza. Ne abbiamo abbastanza di codici che riproducono quelli di una qualsiasi sala giochi. “Vincere è un istante”,  “sai subito se hai vinto”: messaggi che potrebbero applicarsi a un nuovo Gratta&Vinci… Perché una banca se ne deve servire? 

Soprattutto una banca che ha iniziato un’altra campagna, denominata  “La mia banca è differente”. Non ho dubbi sia differente, ma allora questa differenza cominciamo a rimarcarla anche a livello semantico: basta servirsi del gioco come mezzo, che poi i mezzi – si sa – non solo diventano messaggi, ma diventano anche fini in sé.

La replica di un amico: “è solo un gioco a premi, innocente come tanti e come ce ne sono sempre stati.” Già, se non fosse che oggi il contesto è cambiato, che ogni giorno leggiamo e scriviamo di come questi “giochetti” sono sempre pronti a trasformarsi in ben altro. Ci piaccia o no, questo è il contesto in cui viviamo. Nemmeno quando facciamo “comunicazione” o “marketing”.

Mi chiedo perché la comunicazione delle banche – ne ricordo una  che reclamizzava un “mutuo smart”, promettendo in cambio dell’indebitamento la possibilità di vincere uno smartphone! – si orientano verso derive neoludiche? Eppure potrebbero, possono in un contesto difficile come quello di un paese trasformato in una bisca a cielo aperto contribuire, affinché il nostro rapporto col denaro torni a incentrarsi sull’economia, e non su quello – ah, Aristotele! – stato della mente che sembra sempre più simile al delirio di tutti, non certo alla follia di pochi.

@oilforbook

 


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