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La terra trema ancora. Curcio: sul programma nazionale per il rischio sismico c’è ancora molto da fare

di Redazione

Donazioni, volontariato, prevenzione e attività dei prossimi mesi nell'area colpita. Dialogo a tutto campo con il capo della Protezione civile a poco meno di un mese dalla tragedia che ha investito il Centro Italia. Intanto nella notte in provincia di Rieti nuova scossa di 4.1

Fabrizio Curcio guida il Dipartimento nazionale della Protezione civile dall'aprile del 2015. A poco meno di un mese dal terremoto che ha devastato il Centro Italia (questa notte intanto si è registrata una nuova scossa fra Accumoli e Amatrice di intensità 4.1) in questa intervista fa il punto sull'evoluzione degli interventi in Lazio, Marche e Umbria, sugli obiettivi della raccolta fondi dedicata e sullo stato di salute del sistema di pronta emergenza in Italia.

Dopo il 24 agosto in centro Italia si sono registrate migliaia di scosse di assestamento. È prevedibile che nel prossimo futuro la dorsale appenninica possa essere interessata da un altro terremoto della potenza di quello di Lazio e Marche?

Sapete cosa dovremmo fare per provare a rispondere a questa domanda? Prendere la mappa di pericolosità sismica e quella della classificazione sismica dell’intero territorio nazionale e guardarle: lì ci sono tutte le informazioni che, a oggi, la comunità scientifica è in grado di darci. Spicca la dorsale appenninica, così come la Calabria intera, la Sicilia, le zone del Nord-Est; ma ciò non significa che anche nelle altre zone del Paese non possano registrarsi terremoti. L’attenzione degli italiani, ci tengo a sottolinearlo, credo non debba essere concentrata sulla previsione deterministica del prossimo evento (cosa a oggi non possibile per gli scienziati), quanto piuttosto verso gli sforzi che devono essere fatti affinché il prossimo significativo terremoto (che non sappiamo dove, quando e con quale intensità colpirà) non abbia tra le sue conseguenze morte e distruzione come quelle recenti.

La risposta di prima emergenza è stata persino superiore alle necessità, tanto che lo stesso Dipartimento a un certo punto ha invitato a bloccare l’invio di beni e volontari. C’è stato qualche errore di valutazione da parte vostra nel momento di avviare la macchina? In questi casi con quali criteri e tempistiche vengono allertati gli enti di protezione civile?

Come succede sempre in queste situazioni, la risposta del Servizio nazionale della protezione civile deve essere immediata e il più consistente possibile perché l’urgenza è salvare le persone da sotto le macerie. Passate le primissime fasi, quindi dopo 48-72 ore, organizzati uomini e mezzi sul territorio sia per la ricerca e il soccorso dei dispersi sia per l’assistenza alla popolazione nei campi, i dispositivi vengono rimodulati sulla base delle reali esigenze. Nessun errore di valutazione, funziona sempre così: è la flessibilità del sistema. Altro discorso va fatto per i beni donati o offerti: la prima regola in una situazione di emergenza è non ingolfare i soccorsi, non caricare le zone colpite anche dell’onere di dover trovare spazi e modi per raccogliere le offerte. Sin dalle prime ore dopo il terremoto c’è stata da parte della cittadinanza una spontanea mobilitazione in favore delle persone coinvolte nell’emergenza, anche attraverso raccolte di cibo, vestiario, farmaci, giochi per i bambini. L’arrivo continuo di materiali impegna molti operatori, tra cui volontari, nelle attività di verifica e smistamento dei beni in base alle esigenze. Inoltre, molti beni raccolti non sono spesso calibrati sulle reali necessità dei cittadini ospitati nelle aree di accoglienza. Per questo, in raccordo con i centri di coordinamento sul territorio e le Organizzazioni di volontariato, abbiamo chiesto di interrompere quel tipo di donazioni.

Vi siete impegnati a svuotare le tende in sette mesi. In questi mesi, che coincidono con il periodo invernale, che tipo di intervento sociali a supporto della popolazione state programmando di mettere in campo? Quante persone vi immaginate saranno ricoverate nelle tende? Dopo cosa succederà?

Proviamo a fare un po’ di chiarezza. I sette mesi sono una stima del tempo necessario per realizzare sul territorio le soluzioni abitative temporanee, le famose casette, per i cittadini che hanno la propria casa inagibile, in attesa della ricostruzione. Il tempo per chiudere i campi è molto meno: i comuni colpiti sono in montagna, la temperatura di notte cala molto, siamo in autunno e le condizioni di accoglienza in tenda potrebbero diventare davvero precarie, soprattutto in caso di maltempo e per le persone più fragili. Per questo, con i sindaci, sin dai primi giorni abbiamo cercato delle soluzioni alternative meno precarie (qui i dati sulla popolazione assistita ad oggi): dalla possibilità di erogare un contributo di autonoma sistemazione per coloro che, in modo indipendente, avendo la casa inagibile hanno trovato una sistemazione alternativa, all’accoglienza in strutture alberghiere convenzionate, fino al rientro nelle proprie case che, dopo i sopralluoghi dei tecnici, sono state dichiarate agibili.

La Protezione civile avrà un ruolo nella ricostruzione oppure una volta smantellati i campi tutto passerà nelle mani del Commissario Vasco Errani?

L’attuale norma prevede che lo stato di emergenza, deliberato dal Consiglio dei Ministri, possa durare 180 giorni, e possa essere prorogato, una sola volta, per altri 180. La fase successiva verrà gestita dalle Regioni, che opereranno in raccordo con il Commissario straordinario del Governo per la ricostruzione, Vasco Errani. Noi ci fermiamo alla realizzazione delle casette, sempre in raccordo con Comuni e Regioni. Ovviamente, la nomina, dopo pochi giorni dall’evento, del Commissario Errani è funzionale affinché scelte di oggi, che avranno ripercussioni sul domani, vengano valutate insieme da subito.

A che punto è il programma nazionale di rischio sismico pubblicato in gazzetta nell’aprile 2014? Quali contributi regionali risultano ancora mancanti? Quali rischi comporta la mancanza di un piano? In questa intervista Bertolaso sostiene che non c’è da stare tranquilli. È d’accordo con lui? Quali sono le resistenze maggiori sulla strada della creazione di una vera cultura della prevenzione in questo paese?

C’è ancora molto lavoro da fare, su questo non ci sono dubbi. Sul programma nazionale di soccorso per il rischio sismico stiamo lavorando parallelamente con alcune Regioni per chiudere la parte relativa alle informazioni territoriali. A giugno di quest’anno, per esempio, con la Regione Piemonte abbiamo organizzato e svolto una esercitazione nazionale simulando un evento sismico nella zona del pinerolese, proprio per testare le strutture individuate come Di.Coma.C, come centri operativi comunali, come centri di coordinamento dei soccorsi a livello provinciale e regionale. Lo stesso era previsto per la metà di settembre in Friuli Venezia Giulia, ma questa emergenza ci ha fatto rivedere i piani. Sul tema della tranquillità ciò che dico è questo: bisogna conoscere, essere consci dei rischi, di dove si trovano e di come sono state costruite le nostre case, gli edifici pubblici che frequentiamo, per poi prendere decisioni e fare delle scelte consapevoli.

La responsabilità dei piani di emergenza, anche quelli di Amatrice e Accumuli, sono delle Prefetture e delle Regioni. Ecco perché mi arrabbio quando si addossa alla Protezione civile nazionale la responsabilità del mancato controllo su certi edifici.

È possibile quantificare quanto costerà alla fine alle casse pubbliche questo terremoto?

Stiamo lavorando con le Regioni per predisporre il dossier per richiedere l’accesso al Fondo di Solidarietà dell’Unione Europea (FSUE): per farlo ci servirà avere una stima dei danni causati dal terremoto e dei costi sostenuti per queste prime fasi dell’emergenza. A oggi l’unico dato certo è lo stanziamento delle prime risorse da parte del Governo con la delibera dello scorso 25 agosto: 50 milioni di euro.

Con l’sms solidale avete già raccolto circa 14,5 milioni di euro. Come saranno usate queste risorse? Come ne darete conto ai donatori e all’opinione pubblica?

Al termine della raccolta, che dura 45 giorni, le Regioni interessate, in base alle cifre raccolte e alla loro ripartizione (che avverrà in accordo tra le stesse), dovranno presentare le proposte – definite d’intesa con i Comuni – per l’utilizzo dei fondi a un Comitato dei Garanti, che verrà nominato con un mio decreto e che sarà composto, come avvenuto per emergenze del passato, da personalità di indiscussa moralità ed esperienza che avranno il compito di valutare le proposte e garantire la trasparenza di gestione delle risorse. Le somme raccolte dagli operatori telefonici saranno versate su un conto infruttifero aperto presso la Tesoreria Centrale dello Stato in favore del Dipartimento che le trasferirà poi ai soggetti attuatori una volta ricevuta l’autorizzazione del Comitato dei Garanti. È previsto che tutto l’iter, dai progetti alla rendicontazione, venga reso pubblico dalle Regioni.

Sullo stesso tema. In queste settimane si sono moltiplicate le raccolte fondi grandi e piccoli. La storia (da San giuliano all’Aquila) ci dice che è praticamente impossibile verificare ex post la bontà/veridicità degli interventi. Cosa pensa dell’ipotesi di istituire una sorta di albo degli enti autorizzati alla raccolta fondi in caso di emergenze? Quali consigli darebbe a un donatore?

Di donare alle Istituzioni o alle grandi organizzazioni di cui si conosce la storia e ci si fida. Per questo, come Dipartimento, abbiamo sottoscritto un protocollo con operatori telefonici e media nazionali che stabilisce preventivamente come procederà la raccolta, come avverrà il trasferimento dei fondi da loro a noi, e come verranno scelti i progetti da finanziare. Il tutto in modo trasparente e ben illustrato sul nostro sito www.protezionecivile.gov.it.

Lei vanta una militanza di lungo corso nella protezione civile. Se dovesse indicare un modello di ricostruzione post terremoto, quale indicherebbe? Quali sono invece gli errori da non commettere?

Nella ricostruzione non esiste un modello. La nostra forza, anzi, è proprio flessibilità, che consente di adattare le esperienze del passato ai contesti specifici. Ogni emergenza è diversa dall'altra, sia per l'impatto sulle popolazioni sia per la risposta delle Istituzioni. Quindi ogni intervento deve essere strutturato per essere flessibile. Da ogni emergenza si impara e il nostro sistema si arricchisce.

In una lettera aperta a Repubblica ripresa anche su vita.it lei ha voluto marcare la distanza che deve essere mantenuta fra volontariato di protezione civile e impresa sociale. Quali rischi vede in questa commistione? Su questo punto ritiene la legge delega di riforma del Terzo settore uno strumento sufficiente?

Si tratta di due mondi estremamente importanti nel quadro più generale del cosiddetto ‘terzo settore’. Le attività che vengono svolte nei due ambiti, tuttavia, sono diverse ed è bene che seguano regolamentazioni specifiche. La riforma recentemente approvata dal Parlamento e che ora è in fase di attuazione, si pone, tra l’altro, proprio l’obiettivo di chiarire le differenze tra soggetti che, pur operando in un quadro comune e con finalità di tipo sociale, sono organizzati in modo diverso perché svolgono attività diverse. Come ho detto, l’impresa sociale svolge i propri compiti nel quadro di disposizioni di natura contrattuale, per quanto specifica, mentre le organizzazioni di volontariato che operano in protezione civile, agiscono su basi giuridiche diverse, concorrendo alle azioni di protezione civile nel quadro del Servizio Nazionale. Vi sono soggetti che, per ragioni storiche, operano nei due ambiti: poiché tale doppia operatività concorre in misura sostanziale a determinare la stessa fisionomia dell’organizzazione, è bene che questo resti possibile, a condizione che venga chiarito che i due momenti seguono regole diverse e specifiche. Il Volontariato è espressione della libera volontà dei cittadini ed è bene che questa libertà “dalla nascita” venga rispettata e salvaguardata. Con il Ministero del Lavoro e, in particolare, con il Sottosegretario Luigi Bobba siamo impegnati per definire un quadro di regole che tuteli questi fondamentali obiettivi. La funzionalità delle organizzazioni di volontariato di protezione civile è essenziale per la tenuta del sistema di intervento in emergenza: non si può correre il rischio di indebolire questa risorsa irrinunciabile.


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