Mara Carfagna

Per portare lo sviluppo al Sud punto sul Terzo settore

di Redazione

Dialogo con il ministro per il Sud e la Coesione territoriale: «Voglio aiutare gli enti a radicarsi e a crescere, anche per avere effetti positivi sull’occupazione femminile». E ancora: «Io credo che il Mezzogiorno debba iniziare a percepirsi con convinzione come “luogo”, non per chiudersi in se stesso o avanzare rivendicazioni, ma per responsabilizzarsi e rafforzarsi in uno scenario globalizzato»

Salernitana, 45 anni, Mara Carfagna dal 13 febbraio è ministro per il Sud e la Coesione territoriale in quota Forza Italia. «Io credo», dice fin da subito in questo dialogo con Vita a Sud che «il Mezzogiorno debba iniziare a percepirsi con convinzione come “luogo”, non per chiudersi in se stesso o avanzare rivendicazioni, ma per responsabilizzarsi e rafforzarsi in uno scenario globalizzato». Il suo luogo di elezione dunque? «È il Sud, tutto intero. Poi, certo, ho legami affettivi particolari con i miei luoghi d’origine: Salerno, Napoli, Moliterno in provincia di Potenza». Ma se le chiedete tre aggettivi per definire il Meridione, userà tre termini che generalmente si associano ad altre latitudini: ricco, centrale ed operoso. Partiamo da qui.

Il Mezzogiorno ricco, centrale ed operoso: è proprio così?
Esatto. Ricco: non dimentichiamo il patrimonio umano, naturalistico, culturale e storico che dobbiamo saper preservare e valorizzare al meglio. Centrale, per la sua collocazione in un Mediterraneo che sta tornando crocevia di interessi commerciali, energetici, geopolitici. Operoso: smettiamola con i pregiudizi e con la cultura assistenzialista che troppo spesso ha accompagnato le politiche per il Sud. I cittadini meridionali vogliono lavorare e vogliono trovarsi nelle condizioni di realizzare i propri progetti, come gli altri.

Quali sono le prime tre priorità che ha dato al suo ministero?
La prima, come accennavo, è di metodo. Affinché il Sud non sprechi l’occasione che ha davanti, deve lavorare come un sistema unitario. Lo Stato a tutti i livelli, parti sociali, università, banche, enti, fondazioni, associazioni… tutti devono muoversi insieme verso un obiettivo chiaro e condiviso. Questo impegno comune è fondamentale per non sprecare nemmeno un euro, a differenza di quanto avvenuto in passato. Per questo, ho riunito i rappresentanti di molti di loro in una due giorni di confronto in videoconferenza e ho sin dall’inizio del mandato avviato un ciclo di incontri con i presidenti delle Regioni meridionali. La seconda priorità, di tutto il governo, è considerare le politiche per il Sud come parte integrante delle politiche nazionali: riforme, infrastrutture, servizi per il Mezzogiorno sono necessari per far crescere tutto il Paese. La terza, ovviamente, è la centralità del Sud nel Pnrr e la sua piena realizzazione.

Come la questione Sud entrerà nel Pnrr che state riscrivendo?
Nella bozza del governo precedente, gli interventi per il Sud apparivano dispersi e disorganici. Con il ministro Daniele Franco (Mef, ndr.) abbiamo concordato la necessità di introdurre nel Piano un “Capitolo Sud”, che renda più coerente la definizione e più verificabile l’attuazione dei progetti.

La crisi pandemica è stata ed è anche crisi spaziale: primo fra tutti il rientro “temporaneo” nelle regioni del Mezzogiorno di molti giovani, tra studenti e lavoratori. Avete previsto di mettere in campo azioni concrete affinché questo rientro possa diventare permanente? Quali? Il South working può essere una via perseguibile?
Questo può accadere solo se il Sud diventerà attrattivo in termini di servizi e opportunità. Gli incentivi funzionano per attirare persone e investimenti, ma l’esperienza ci insegna che spesso i loro effetti sono destinati a spegnersi presto e creare nuovi disagi. Per questo proveremo a prolungare la decontribuzione del 30% per le imprese al Sud fino al 2029. Il South working è una chance da cogliere, ma per accogliere e trattenere chi lavora a distanza servono la banda larga, una mobilità potenziata, luoghi di formazione, opportunità di crescita professionale.

Il suo predecessore Giuseppe Provenzano in un dialogo con Vita ha sostenuto che al Sud manca più la società civile, che lo Stato. Concorda?
Io credo che manchi soprattutto un raccordo tra lo Stato e la società civile, che aiuti anche quest’ultima a crescere e rafforzare la propria fondamentale azione.

A questo proposito la solidità e la stabilità delle organizzazioni del Terzo settore è imprescindibile per un lavoro efficiente e di largo respiro sullo sviluppo locale al Sud. Da ciò dipende anche l’esito dei processi di infrastrutturazione sociale, termine che lei stessa ha usato in più di un’occasione in questa primissima fase del mandato. In tal senso, come si vuole lavorare per sostenere al Sud la crescita strutturale degli enti del Terzo settore per uscire da una logica di “finanziamento a bando”?
Tra i miei primi incontri da ministro, c’è stato proprio quello con il Forum del Terzo Settore. Il lavoro di cura ha un valore sociale che finalmente in tanti hanno imparato a riconoscere con la pandemia. Al Sud, in particolare, si aggiunge l’importanza delle attività di natura educativa, culturale, ricreativa, che in tante realtà costituiscono un argine all’abbandono scolastico, all’emarginazione, alla criminalità. Dobbiamo aiutare questi enti a radicarsi e a crescere, anche per avere effetti positivi sull’occupazione femminile, sia in maniera diretta, cioè in queste stesse attività, sia indiretta, liberando le donne da impegni gravosi e consentendo loro di cercare più serenamente un lavoro.

C’è un’esperienza sociale del Sud che lei conosce e che ritiene esemplare?
Conosco bene la Fondazione Famiglia di Maria a Napoli, presieduta…PER CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI

Foto: Agenzia Sintesi


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