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Baby Gang, la voce della generazione dei senza voce

di Luca Cereda

Nei suoi pezzi racconta dal carcere minorile alla “strada” fino alla sua Lecco e al rancore nei confronti del mondo degli adulti. Ma sotto questi testi crudi e violenti si nasconde «ciò che non si ha il coraggio di osservare, ma che sta davanti ai nostri occhi da tempo», sottolinea Don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano grazie a cui Zaccaria è diventato un trapper

Baby Gang, nome d’arte di Zaccaria Mouhib, è una ragazzo italiano di seconda generazione, nato e cresciuto a Lecco da una famiglia di origine marocchia. Oggi è uno dei rapper più promettenti e influenti della scena musicale italiana. Eppure, a nemmeno 20 anni, ha trascorso una buona parte della vita facendo più dentro che fuori da carceri minorili e dalle comunità per minorenni. Quando è fuori dal carcere o dalla comunità “colleziona” Daspo, divieti di accesso come quello per tre anni da alcuni comuni della riviera romagnola, e in questa estate 2021 è stato destinatario di un Daspo dai locali della Città Metropolitana di Milano per “pericolosità sociale”, da Sondrio, dove vive ora, e dalla sua Lecco. Quest’ultimo è arrivato a causa del videoclip della canzone “Lecco city” – brano da oltre 1milione e 500mila visualizzazioni su YouTube – in cui lui e centinaia di persone hanno impugnato armi e sparato in aria nel quartiere residenziale di Santo Stefano.

Dalla rapina, al carcere minorile, alla comunità: il ruolo della musica

“Se non metto il passamontagna – lo buttano in gabbia – pensando che il ragazzo cambia – ma esce con più rabbia” canta Baby Gang in "Rapina", singolo da quasi 5milione di ascolti. Complementare ma contrapposto al testo del giovane rapper – anche se diametralmente opposto – è quanto riporta il comunicato della Questura di Sondrio, molto simile il testo di quella lecchese, che come Milano e Riccione e diversi comuni della riviera romagnola hanno scelto la linea della “tolleranza zero” verso chi racconta il crimine giovanile – visto e perpetrato in prima persone – e nei video aizza folle di ragazzi contro le forze dell’ordine e imbraccia armi vere: “L’allontanamento di Zaccaria dalla città arriva per atti riconducibili al fenomeno delle babygang legate alla musica in cui si inneggia alla violenza, ai furti, al consumo di sostanze stupefacenti, all’offesa delle forze dell’ordine ed all’uso delle armi”.

«L’emergenza è la molla della storia recente, perché rende visibile ciò che non si ha il coraggio di osservare, ma che sta davanti ai nostri occhi da tempo», commenta Don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano, dove ha conosciuto Zaccaria e responsabile delle comunità Kayròs di Vimodrone che ha ospitato Baby Gang, una comunità che si confronta con ragazzi che come lui sono esposti all’illegalità e che alla retorica della “tolleranza zero e dell’emergenza giovani”, a cui don Claudio risponde: «Non ho mai visto un giovane cambiare solo in ragione di una cella o di una misura restrittiva della libertà».

Quei testi crudi sono la loro voce, sono da ascoltare
«Questo terzo Daspo è per lui il più doloroso, perché lo bandisce dalla sua città di origine. La città a cui so che è legato anche affettivamente», commenta il fondatore di Kayròs. Arriva senza ascoltare la vicenda umana di Zaccaria, guardando solo la fedina di Baby Gang che ha cominciato a comporre e pubblicare musica proprio quando ancora si trovava detenuto nel carcere Beccaria. È stato il primo artista in Italia a uscire dal carcere con un permesso di lavoro per andare a registrare canzoni in cui racconta la rabbia sociale che gli cova dentro da anni. Oggi Zaccaria Mouhib ha decine di migliaia di follower su Instagram e milioni di ascolti su YouTube e Spotify, ma è stato don Claudio a portarlo insieme ad atri tre rapper – Simba La Rue, Sacky e Minur – in studio dalla cella del carcere minorile. Per tutti loro la comunità di Kairòs ha agito cercando di trasformare il rancore e la rabbia sociale che hanno dentro, da azioni criminali a testi realisticamente crudi, che facessero ascoltare a tutti la loro storia. Anche perché don Burgio li faceva andare in studio anche quando gli assistenti sociali non erano d’accordo, «perché preferisco non guardare i fogli, ma la persona, ed è questo che serve: un ragazzo lo si aiuta a quattr’occhi». Per questo Zaccaria, che cambiava una comunità all’anno, ha chiesto di rimanere anche dopo la fine della “messa alla prova” a Kairòs: qui possono crescere senza la continua presenza di un educatore, cercare un lavoro, costruirsi un futuro. «Crediamo che i tempi giuridici non corrispondano ai tempi di crescita di un ragazzo. Ho visto ragazzi cambiare in dieci anni, magari passando due o tre volte dal carcere».

Generazione rancore o delinquenti?
Basteranno questi – e legittimi, beninteso – provvedimenti delle Questure per ristabilire l’ordine pubblico e per contenere la rabbia sociale di Baby Gang e degli adolescenti dei suoi video? Saranno sufficienti i Daspo messi in atto per scongiurare altri episodi violenti e per mettere a tacere la voce arrabbiata di questi rapper sempre più seguiti sui social? Zaccaria, spiega il fondatore di Kayròs, ha sofferto per essere stato strappato dalla mamma già all’età di 8 anni, per essersi sentito escluso fin da piccolo dalla scuola e dalla sua città per via del suo essere un ragazzo di seconda generazione, italiano di origini marocchine, per essere cresciuto in situazioni di estrema povertà e, per questo, essere stato vittima di discriminazioni. Una volta approdato al Beccaria, dopo essere stato allontanato da almeno dieci comunità, Zaccaria è diventato un ragazzo sempre più violento, lo racconta nei suoi testi, e chiuso in un risentimento viscerale verso le istituzioni che avrebbero dovuto tutelarlo da bambino». Lo stigma di “Delinquente” – così infatti si intitola il primo album di Baby Gang – viene rafforzato dall’esperienza del carcere. Così nella musica Zaccaria ha cercato il suo riscatto. Che fare allora con Baby Gang e gli altri rapper “daspati”? Che strade intraprendere di fronte al crescente malessere giovanile? Per ora la “tolleranza zero” ha prodotto ancora più rancore sociale.

Una viaggio nella Lecco city della generazione rancore
Lecco – e come lei molte città italiane – sono le “Lecco city” di Baby Gang e di altri giovani rapper che raccontano nient’altro che le loro storie? Sono i luoghi dell’assenza di confronto e di incontro della linea della “tolleranza zero”? Sono tutte e due. Eppure ci può e ci vede essere una terza via, che parte dall’ascolto della loro musica. «Ascoltare i ragazzi e con loro effettuare un percorso di recupero è possibile», ne è convinto don Agostino Frasson che alle porte di Lecco, a Valmadrera, porta avanti il progetto di Cascina don Guanella, un esperimento di produzione biologica e formazione con i ragazzi della “Lecco city”: «La giustizia italiana prevede percorsi di riparazione. Poco praticati perché dall’effetto meno immediato e più impegnativi. Ma i suoi frutti danno semi veri. La pedagogia della Cascina don Guanella fa si che i ragazzi siano operativi, al lavoro su oltre cinque ettari di terra organizzati in laboratori, campi coltivati e animali nelle stalle da cui produrre vino, marmellate e altre prodotti che poi serviamo nel nostro ristorante in cui i ragazzi lavorano come camerieri e aiuti in cucina». La fattoria è stata ristrutturata dai ragazzi stessi della comunità usando materiali naturali, installando pannelli fotovoltaici e realizzando una rete idrica per il recupero dell’acqua piovana, per un’agricoltura sostenibile sotto il profilo ambientale ed economico. Il valore aggiunto della produzione della cascina sta nel fatto che a portare avanti i lavori nei campi siano ragazzi a rischio di emarginazione.

La “Lecco city” che accomuna tutte le periferie italiane
Il disagio che attraversano ragazzi come Zaccaria Mouhib, giovanili seconda generazione, ma non solo, crea un fenomeno sociale difficile da penetrare e scardinare: «Tra di loro si fanno forza, si danno delle regole alimentate dalla psicologia del branco – continua don Frasson -. Ecco perché dare occasioni e opportunità di lavoro, di svago, ma anche di crescita personale e artistica come la musica o la street art, a ragazzi altrimenti invisibili e inascoltati è necessario. Oggi è ancora più importante dare loro voce perché i social hanno amplificato e reso più visibile un disagio già presente prima del loro avvento: queste persone sono parte della comunità e come tutti hanno bisogno di visibilità, di considerazione, di essere valorizzati. E senza un percorso guidato da loro ma assistito, la trovano nella violenza, reale o ostentata nelle canzoni e nei video. Non sono criminali, covano tanto rancore. Su quella strada però criminali lo diventano quando il rancore si incancrenisce».

La storia di Baby Gang è quella di molti ragazzini nati in Italia con genitori di origine straniera che – da Lecco a Milano e in tante periferie italiane – sono costretti a crescere in quartieri-ghetto, in condizioni di evidente svantaggio sociale, segnati da una mancata inclusione. «Temo che reiterare decisioni drastiche di esclusione e di confinamento non faccia altro che rafforzare sentimenti di ostilità verso le istituzioni», conclude don Agostino.


In apertura la cover di Delinquente


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