Meeting 2025

Javier Cercas: «Il mondo ha bisogno di una chiesa rivoluzionaria»

Intervista al famoso scrittore spagnolo non credente. Un bilancio dell’esperienza che lo ha portato a seguire papa Francesco in Mongolia e a ricavarne un libro di grande successo. «Ho voluto vedere con i miei occhi, lasciando da parte i pregiudizi. Ho scoperto che il cristianesimo ha una grande capacità di sorprendere»

di Alessandro Banfi

Il folle senza Dio arriva fra i ciellini di Rimini per parlare del suo libro Il folle di Dio alla fine del mondo, in cui racconta il suo viaggio con papa Francesco in Mongolia. Javier Cercas non è solo un grande scrittore spagnolo ma è anche un vero intellettuale. Ateo, anti-clericale, è un punto di riferimento della cultura laica della sinistra europea, grazie ai suoi commenti su El Pais e grazie ai suoi libri straordinari (Soldati di Salamina, Anatomia di un istante, L’impostore per citare i più letti). Difficile pensare un visitatore meno accomodante per la kermesse di Rimini. E tuttavia Cercas non sembra aver perso la sua proverbiale curiosità, interessato a capire una realtà che pure dovrebbe essere all’opposto della sua cultura. Racconta che appena è arrivato in Fiera ha visitato la mostra Chiamati due volte, dedicati ai martiri d’Algeria e ha incontrato suor Lourdes Miguélez Matilla, la suora missionaria agostiniana spagnola sopravvissuta all’attentato terroristico che è costato la vita alle sue consorelle Esther e Marìa Caridad. Del resto chi ha letto Il folle di Dio sa che la Chiesa missionaria è la Chiesa che Cercas ammira di più.  

Lei qui a Rimini si è confrontato con Paolo Ruffini, responsabile del Dicastero vaticano e con lo scrittore Colum McCann. Come si sente lei “folle senza Dio” al Meeting? 

Avevo sentito parlare molto del Meeting di Rimini, ma non ero mai stato qui. È un’esperienza molto singolare. Ho visto una mostra, quella sui martiri cattolici di Alegria, che è fantastica. Ho parlato con una suora spagnola Suor Lourdes…  No, non dovrebbe essere sorprendente, che una persona come me, non credente, agnostica, ancora non so come definirmi dopo questo libro, si interessi della Chiesa.  Alcuni mi hanno chiesto perché ho accettato di scrivere il libro sul viaggio del Papa in Mongolia. Ma se il Vaticano ti dà l’opportunità, ti apre le porte, ti dà la chance di fare le domande che vuoi e alla fine scrivere quello che vuoi, perché avrei dovuto dire no? La Chiesa cattolica è stata assolutamente decisiva per duemila anni. Non solo per i cattolici, ma per tutto il mondo e da tutti i punti di vista. Allora come non andare lì a vedere che cosa succede? Parte della sorpresa costituita dal mio ultimo libro, felice sorpresa perché si sta leggendo in tanti Paesi, è che una persona non credente, ma rispettosa, va a vedere esattamente che cosa succede. 

Qual è stata la sfida più difficile di questa avventura da “folle senza Dio” a seguito del Papa?

Il lavoro più arduo non è stato leggere tanti libri, acquisire tante informazioni sul Vaticano, sulla Chiesa su Papa Francesco, quanto pulire il mio sguardo dai pregiudizi. Siamo tutti pieni di pregiudizi verso la Chiesa cattolica. Pregiudizi a favore o contro. Ho pensato: è difficile ma necessario arrivare lì senza pregiudizi, con lo sguardo pulito per capire che cosa succede davvero. Volevo capire chi era quest’uomo che si chiamava Jorge Mario Bergoglio e che era diventato Francesco. Se si fa così, le sorprese sono costanti. Tutto diventa sorprendente.

In questo caso non si tratta solo di onestà ma anche di vera curiosità… e nei suoi libri è spesso restituita l’ambiguità della vita. Nella traduzione italiana del suo libro lei usa la parola “guazzabuglio”. Scrive: vorrei che questo libro fosse un guazzabuglio, cioè che ci fosse di tutto… E mi è venuto in mente che nei Promessi Sposi, Alessandro Manzoni per descrivere il cuore del papà di Gertrude (che costringe alla monacazione la figlia esercitando una violenza psicologica) usa questa espressione: il guazzabuglio del cuore. 

Sì l’ambiguità, il guazzabuglio: questa è la mia concezione del romanzo. Anche in altri romanzi, come L’impostore, per esempio, è una mescolanza di cose. Il folle di Dio alla fine del mondo è in parte una cronaca, parzialmente è anche un saggio, parzialmente una biografia, anche un po’ un’autobiografia di uno come me, che come la più parte degli europei, educato nel cattolicesimo, ad un certo punto ha perduto la fede.

Non facciamo spoiler del suo libro, ma le chiedo: a che conclusione è giunto?

Una delle parole più intelligenti che ho sentito, forse la cosa più intelligente che ho sentito sulla Chiesa cattolica, detta dopo anni di lavoro su questo libro, me l’ha detta un prete che ha lavorato tutta la vita in un carcere. Che la Chiesa sia unita, mi ha detto, con tanta gente così diversa e così spesso contraddittoria e divisa, si spiega solo in un modo: la tiene insieme lo Spirito Santo. La Chiesa è incredibilmente complessa. C’è gente di tutti i tipi: è una cosa che ho imparato in questo libro.

Oltre all’ambiguità c’è un’altra qualità della buona letteratura, l’umorismo…

Non esiste il romanzo senza ironia e senza senso dell’umorismo. Noi non pensiamo alla Chiesa cattolica e al cristianesimo, quando pensiamo al senso dell’umorismo. Infatti Friedrich Nietzsche, nell’Anticristo dice ai cristiani le vostre facce da funerale sono la principale accusa contro le vostre credenze. E invece che cosa mi sono trovato in Vaticano? Un Papa che fa una rivendicazione radicale del senso dell’umorismo. E credo che questo sia importante. Papa Francesco l’ha detto a un suo amico intimo che si chiama Lucio Brunelli, che è oggi anche un mio amico. Lucio mi racconta che un giorno il Papa gli dice: “Sai Lucio, la cosa più prossima alla grazia divina è il senso dell’umorismo”. E questo è fantastico. Lucio non lo sapeva ma il Papa aveva come prima lingua lo spagnolo. E nella mia lingua si dice “graziosa” di una persona che fa ridere.

È quello che lei ha detto oggi qui nel dibattito al Meeting. La Chiesa ha bisogno di essere attrattiva, di cambiare linguaggio… 

Come persona che vede le cose dal di fuori, la Chiesa ha bisogno di una rivoluzione linguistica. Cioè ha un problema con la sua comunicazione e lo sa molto bene. Gesù Cristo ha cambiato il mondo con le parole, con i suoi discorsi. La sua parola era fortissima, attraente. La Chiesa invece oggi non è attraente. Perde fedeli in Europa, in Spagna, anche in Italia… Non ha un linguaggio fresco, vivo, rivoluzionario come è stato quello di Cristo, con senso dell’umorismo, con l’ironia, con la complessità.

Lei scrive di una Chiesa missionaria come di una Chiesa ideale. Perché?

Che cosa fa il missionario? Va a cercare quelli che non la pensano come lui. Non soltanto i musulmani, non soltanto i buddisti, ma anche gli atei o i non credenti. Allora è questa è una forma di andare al di là. Ovviamente la Chiesa ha tanti difetti nella storia. Ma ha anche le sue virtù.

E lei dice dovrebbe riscoprire il linguaggio degli inizi, un linguaggio anche molto radicale…

Bisogna fare una rivoluzione: il cristianesimo non può essere una cosa tiepida, una cosa tranquilla, una cosa conservatrice… L’ho scritto ieri in un commento per El Pais: Gesù Cristo era un rivoluzionario, era un sovversivo. Era un uomo pericoloso, che diceva delle cose pericolose. Io sono venuto a portare pace, non sono venuto a portare pace ma la spada, diceva. Diceva a tutti gli uomini e le donne che erano uguali in un momento in cui la schiavitù era diffusa. 

La sua sovversione è attraverso la croce, cioè attraverso un’apparente sconfitta, attraverso una massima debolezza, attraverso una gratuità disarmata… 

La rivoluzione più radicale è proprio questa: la rivoluzione contro la morte. Ma a volte ho l’impressione che alcuni cristiani lo dimentichino. La rivoluzione totale è la rivoluzione contro la morte. Questo è il centro del cristianesimo. La resurrezione della carne e la vita eterna. Non lo dico io, lo dice San Paolo. La ribellione contro la morte è una cosa incredibile. È una cosa da folli. Ed avviene in modo disarmato.

In apertura: Javier Cercas al Meeting (Foto Meeting Rimini)

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