Mondo

L’esperienza. Noi due, come fossimo in sala parto

"Vedere Ana Maria camminare verso di noi è stato come vederla nascere". Un neo papà adottivo, giornalista, racconta (di Gerolamo Fazzini).

di Redazione

Quando, il 21 novembre scorso, abbiamo lasciato il palazzo grigio-verde dell?Instituto Colombiano de Bienestar familiar con in braccio Ana Maria – le sue gote solcate da un pianto leggero ma irrefrenabile – io e Laura avevamo in cuore la stessa emozione con la quale, cinque anni prima, uscivamo dall?ospedale di Lecco dove era venuto alla luce Luca. Non c?è una grande differenza fra la trepidazione di un papà che assiste al parto del figlio e il senso di eccitazione, misto a timore e gioia, che ti prende nel vedere una bambina di un metro scarso avanzare verso di te – a passi lenti, gli occhi lucidi – in uno stanzone dal quale uscirà con te, per sempre. Una bambina che da quel giorno imparerai a chiamare ?figlia?.
Il tumulto di attese, timori e vibrazioni insolite che ti attraversa il cuore quando, al culmine del travaglio, spunta dal corpo spossato della mamma la testolina di tuo figlio non è poi così diverso da quello che ho provato quando gli occhi smarriti della piccola Ana Maria hanno incrociato per la prima volta i miei, i nostri. In quell?istante abbiamo capito che quella bambina – fin lì estranea, una delle tante – diventava nostra figlia. E dunque unica. Con i suoi capelli nerissimi e sottili e un sorriso scoppiettante che avremmo scoperto di lì a qualche giorno.
Il resto? Certo, il resto era diverso. Eravamo in Colombia, a novemila chilometri da casa. Niente ospedale e poppate. Impossibile paragonare le due gravidanze. Tanto quella fisica aveva ritmi certi (visite, ecografie), l?altra, l?attesa di Ana Maria, si è rivelata una serie di stop-and-go, tempi morti e silenzi, accelerazioni, documenti, decisioni.
Tre anni sono trascorsi da quando è cominciata l?avventura della nostra adozione a quando Ana Maria è entrata nella nostra famiglia. In quel novembre 2000, probabilmente nello stesso giro di giorni, Ana Maria nasceva in Colombia, proprio mentre noi si ritirava in Tribunale i moduli per la pratica. Solo adesso, ora che la prima tappa dell?avventura si è conclusa (ma davanti c?è una vita intera, e la scommessa è solo all?inizio) riusciamo a connettere i fili dell?arazzo e a scoprire con meraviglia e sorpresa un disegno a noi sconosciuto. Solo adesso riconosciamo che qualcuno ci era accanto quando ci fu detto la prima volta di Aria Maria.
Avevamo e abbiamo dubbi e fragilità di tanti genitori. Ma quel che ci ha dato forza è la consapevolezza che ogni figlio, biologico o adottivo che sia, è un dono. Di più: una sorpresa, da accogliere con stupore e gioia. È un regalo. È qualcosa che prima non c?era. E d?improvviso aggiunge all?esistenza il mistero di una presenza irripetibile che sei chiamato ad accogliere, accompagnare, educare. In una parola: amare.

Gerolamo Fazzini

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