Non profit
Lindividualismo travestito da libertà
Una lettera aperta dal presidente di Famiglie per laccoglienza: il legame tra uomo e donna non è un fatto pubblico e sociale. Non dimentichiamolo, di Marco Mazzi
di Redazione
Mi presento: sono un pediatra veronese, sposato, con figli. Tanti figli, perché oltre a quelli naturali, la nostra famiglia ne ha accolti diversi, piccoli e meno piccoli, per periodi più o meno lunghi, e con più e un po? più bisogni e difficoltà. Ma non scrivo a nome mio, quanto di quello di tante famiglie che con noi vivono questa esperienza e che da 25 anni condividono lo stesso cammino nella associazione Famiglie per l?Accoglienza, di cui sono il presidente. Ci stiamo accorgendo che una cultura individualista invade sempre di più la vita del nostro Paese. A volte travestita di rispetto, di libertà di fare quel che si vuole purché non dia fastidio a nessuno. Non si parla più di legami, di compito, di dono di sé, di sacrificio per un ideale. Il centro è quel che uno sente, la soddisfazione dei propri desideri percepita come diritto, difendendosi dalla diversità dell?altro. Nel provvedimento predisposto dal governo in materia di convivenze, questa cultura ha fatto un altro passo avanti, dando diritti e legittimazione sociale a rapporti che volutamente, per scelta, volevano rimanere nel privato; ha esteso a tali rapporti vantaggi e benefici che finora erano propri della famiglia, senza peraltro far conseguire anche i doveri e la responsabilità pubblica che una famiglia comporta. Una scelta che di fatto, oggettivamente, penalizza la famiglia. Mai come oggi essa è attaccata, dal punto di vista culturale, dal regime fiscale, e ora anche dal punto di vista normativo. Il legame tra l?uomo e la donna non è un fatto privato e chiuso, ma è un bene che per sua natura va partecipato. Generare, educare, accompagnare, accogliere, sono gesti che non rimangono nella sfera privata del proprio sentimento; per la loro stessa natura hanno un valore pubblico, cioè per tutti. In 25 anni di storia, le famiglie dell?associazione hanno accolto nelle proprie case centinaia di minori e adulti in difficoltà, magari segnati da gravi fatiche o handicap, accompagnandoli nell?affido o nell?adozione o nell?ospitalità; creando un tessuto sociale in cui la persona è un bene con cui ci si può coinvolgere, aiutandosi tra famiglie in un sostegno reciproco e contribuendo così alla costruzione di una convivenza rispettosa della dignità dell?uomo. E lo hanno potuto fare proprio in quanto famiglie, ossia una comunità di persone, un nucleo sociale che si è assunto una responsabilità identificabile e stabile al suo interno e nei confronti della società. L?esperienza che abbiamo accumulato in questi 25 anni ci fa dire con certezza che quello che cercano le donne e gli uomini del nostro tempo (dalla più tenera età alla più avanzata) non è una precarietà, un amore a tempo, ma la chiarezza di un?identità e di una appartenenza, la possibilità di essere accolti ?senza se e senza ma?.
Siamo amareggiati e preoccupati ma siamo al pari consapevoli della verità di una esperienza che ogni giorno accade nelle nostre case aprendo la porta ai bisogni che incontriamo e sempre più determinati a contribuire alla costruzione di una convivenza adeguata all?uomo e alla sua dignità.
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