Mondo
Loro del Kenya? E’ finito al Qatar
Accade questo nel Continente nero. Che Paesi ricchi vengano qui a comperare campioni. Intervista ad Emanuela Audisio.
Alla sua Africa, Emanuela Audisio, inviata di Repubblica, ha dedicato due capitoli del libro Tutti i cerchi del mondo (Mondadori), dove si raccontano le storie e i volti che incontreremo (o purtroppo non incontreremo) alle Olimpiadi di Atene. Dietro lo spettacolo in mondovisione, ecco la lotteria quadriennale dove uomini e donne cercheranno di sfruttare l?ennesima occasione di riscatto, nazionale ma soprattutto personale. Ai Giochi l?Africa ci arriva con il solito affanno, correndo più forte che può, trascinando la zavorra del suo bagaglio di immensi, drammatici e sempre irrisolti conflitti. Vita: Cos?è l?Africa nello sport attuale? Emanuela Audisio: Purtroppo anche nello sport l?Africa è diventata un supermercato dove i Paesi ricchi vanno e prendono quello che vogliono. Un continente dove far la spesa è molto conveniente. Vita: A comprare sono i soliti Paesi occidentali, che naturalizzano atleti di qualunque nazione pur di rimpinguare il proprio medagliere? Audisio: No, la colpa non è solo dei Paesi occidentali. Piuttosto dei Paesi ricchi. Il commercio della gloria si basa più sul censo che sulla nazionalità. Chi ha denaro, compra. Tanto per capirci, è il Qatar a fare le cose peggiori. Lì prendono gli specialisti delle corse e li ridipingono con i colori nazionali. Cambiandogli tutto. Vita: Una spersonalizzazione che annienta l?identità… Audisio: Stephen Cherono, kenyano, era il numero uno nei 3000 siepi e nei 5000. Tribù dei Marakwet, a nord della mitica Rift Valley, 2000 metri d?altezza sull?altopiano. Povertà infinita, tre sorelle e sei fratelli, uno dei quali, Christopher Kosgei, campione mondiale dei 3000 siepi, quello che correva scalzo. Bene: acquistato dal Qatar, Cherono ha dovuto cambiare nome (ora si chiama Saif Saeed Shaheen) e religione (ora è musulmano). In cambio il Qatar si è impegnato con il governo kenyano per la costruzione di un impianto sportivo nella Rift Valley. Il Kenya si è detto dispiaciuto, ma costretto a sacrificare il primogenito per dar da mangiare agli altri figli. Poi ai Mondiali 2003 il Kenya perde la sua medaglia sicura, quella dei 3000 siepi, vinta da Saif Saeed Shaheen, del Qatar. Tra i battuti anche Abraham Cherono, fratello del vincitore. È lo sport versione global. Vita: Provando a mettersi nei panni del Kenya: se non ho i mezzi per mantenere i miei campioni, li do in adozione affinché si affermino. È del tutto sbagliato? Audisio: Non è del tutto vero. Il Kenya avrebbe delle risorse per mantenere e allenare i suoi figli. È pieno di Cherono che vivono in belle case, con telefonini, jeep, parabole satellitari. Solo che ciascuno non rappresenta altro che se stesso, e cerca di monetizzare il più possibile. Un tempo i kenyani avevano tutti i record, dagli 800 alla maratona. Oggi si guadagna bene solo con la maratona, specialità dove la qualità è poco richiesta e dove bastano una buona resistenza e buone gambe. Così diventano schiavi dei loro manager, che prendono percentuali sui guadagni, e ai quali non interessa sviluppare tecnica e qualità. Quindi nessuna scuola. Vita: Le naturalizzazioni però non sono un fenomeno di oggi. Audisio: Certo, ma un conto è che tu scelga di affiliarti al tuo Paese d?adozione, dove hai studiato, sei cresciuto, e dove ti è stato permesso di allenarti e di guadagnare. Un altro conto è dover rinnegare te stesso e le tue origini. Questa spoliazione di sé ricorda quanto successe nell?Argentina dei militari, nel Cile di Pinochet, nell?Unione Sovietica di Stalin, dove i figli dei nemici del popolo venivano consegnati a coppie ?regolari? perché li crescessero bene. Ma dietro i grandi nomi, la realtà è fatta di personaggi poco conosciuti, cui vengono promessi vitalizi, magari di mille dollari al mese, ma che dopo pochi anni, ormai bolliti, vengono abbandonati. Vita: Vale solo nell?atletica? Audisio: Assolutamente no. Prendiamo il calcio: nelle formazioni giovanili dei nostri club sono tanti i giovani africani presi e parcheggiati in club minori nella speranza che qualcuno confermi le potenzialità. Per una storia che va a buon fine, ce ne sono dieci fatte di fame e disagi, date di nascita false, identità cambiate, stature truccate. Vita: Un continente, quello africano, che anche nello sport, quando ha cercato di mettersi al passo del politicamente corretto, ha fallito miseramente. Audisio: Verissimo. Prendiamo il Sudafrica: dieci anni fa fu il primo, e finora unico, Paese al mondo a mettere le quote nello sport. Doveva perdonarsi la vergogna dell?orrendo regime segregazionista. Venne deciso che nella squadra nazionale di rugby dovesse esserci un tot di atleti neri e un tot di bianchi. Il mondo applaudì, ma la decisione fu miope, inefficace. I bianchi persero la voglia di praticare per non gareggiare con i neri. I neri dal canto loro non vollero più saperne, perché sapevano di essere scelti non per il loro valore ma per il colore della loro pelle. Così da numero uno al mondo che era, il Sudafrica è oggi al quinto posto del ranking mondiale. Lo sport non ama la politica, la facciata. Tanto più che dietro quella facciata ?democratica?, la realtà continua a essere la stessa. È una questione di «them and us», loro e noi, bianchi buoni e neri cattivi, dove la federazione paga un ex ufficiale segregazionista, un sadico, per denudare e umiliare i giocatori con la scusa dell?allenamento, e dove il medico della squadra continua ad essere il famoso Uli Schmidt, quello che dieci anni fa scrisse che i neri non erano geneticamente portati al rugby, quello che pensa ancora da afrikaneer. Con buona pace della democrazia e della trasparenza. Vita: Le Olimpiadi restano, per molti Paesi africani, un?occasione di visibilità, per dire al mondo: «Ci siamo anche noi». Audisio: La conquista di una medaglia esprime sempre un nazionalismo, dappertutto. La vittoria serve per vedere un Paese con altri occhi, molto più benevoli e accomodanti. Ma in Africa una medaglia è anche politica estera, significa entrare in quel circo dell?informazione mondiale dal quale si è perennemente esclusi. Vita: Dei cinque cerchi olimpici, quello africano è il più ammaccato? Audisio: C?è un cerchio mancante, quello dei 20 milioni di bambini che a causa delle guerre o delle malattie in Africa non hanno braccia o gambe per correre, saltare, lanciare. Che non sono mai stati iscritti alle Olimpiadi della vita.
Partecipa alla due giorni per i 30 anni di VITA
Cara lettrice, caro lettore: il 25 e 26 ottobre alla Fabbrica del Vapore di Milano, VITA festeggerà i suoi primi 30 anni con il titolo “E noi come vivremo?”. Un evento aperto a tutti, non per celebrare l’anniversario, ma per tracciare insieme a voi e ai tanti amici che parteciperanno nuovi futuri possibili.