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La bimba simbolo del Live Aid: “il mega concerto per me non ha fatto nulla”
Trent’anni dopo, il Guardian ritrova la bimba simbolo del mega concerto organizzato da Bob Geldoff per aiutare l’Etiopia. Nonostante elogi il lavoro fatto per il suo Pase, afferma che a lei, in realtà, l'iniziativa di Geldoff non ha cambiato la vita e si potrebbe fare molto di più
di Redazione

E’ stata il simbolo del Live Aid, Birhan Woldu, la donna, oggi di 34 anni che, all’epoca del concerto, organizzato da Bob Geldof il 13 luglio del 1985, per raccogliere fondi da devolvere a progetti per alleviare la carestia in Etiopia, aveva appena 4 anni. Nel 2005, durante Live 8, sempre organizzato da Geldoff per i vent’anni dal primo concerto, era stato mostrato il video del 1984, girato da una troupe canadese, in un campo di assistenza nel Tigrai, nel Nord del Paese che ritraeva la piccola Birhan, sofferente e denutrita, quella stessa bimba, ormai cresciuta, era stata invitata sul palco (nella foto con Madonna), come prova vivente che, effettivamente, il Live Aid aveva funzionato. “Grazie al Live Aid di 20 anni fa, la scorsa settimana, (Birhan Woldu) ha sostenuto gli esami all’istituto che frequenta nel nord dell’Etiopia. Non lasciate che vi dicano che questa iniziativa non funziona, guardate questa bellissima donna.” E oggi, a dieci annida quell’uscita pubblica, l’immagine di Birhan Woldu, il volto del Live Aid, torna a parlare, utilizzando però parole molto meno benevole nei confronti di quel concerto che avrebbe dovuto salvarle la vita. In realtà, scrive il Guardian, a pagare gli studi a Birhan Woldu, e ad altri membri della famiglia, era stato il giornalista canadese, Brian Stewart che aveva seguito la sua storia nel campo di Tigrai. Nonostante Woldu abbia elogiato l’iniziativa di aiuti, promossa da Geldoff per avere “cambiato la vita a tanti fratelli e sorelle in Etiopia, soprattutto durante la carestia”, al Guardian, Woldu ha dichiarato: “Personalmente per me il Live Aid non ha fatto nulla. Sono stata etichettata come il simbolo dell’evento per quelle immagini degli anni 80. La mia storia è ben documentata e ha raggiunto il cielo, ma io vivo sotto terra. In questo momento sono in una situazione terribile. Non ho un lavoro e non riesco a sostenere la mia famiglia in modo indipendente.”
Woldu, che ha lavorato come infermiera per quasi un anno dopo essersi laureata allo Sheba University College di Mekelle e che oggi è separata e ha due bambini, non ha più un lavoro e, ha dichiarato, riceve un supporto dall’organizzazione ACET che, in Etiopia ha costruito circa 10 scuole elementari, parzialmente finanziate dal Live Aid e da altre ONG.
“Sono stati fatti diversi passi avanti, rispetto alla carestia. Abbiamo scuole, ospedali e accesso a zone remote.” Ha spiegato Woldu, specificando però che si potrebbe fare molto di più. “Come organizzazione, credo che il Live Aid potrebbe fare molto di più, per la costruzione di scuole e ospedali (…) Costruire infrastrutture come scuole e ospedali o aziende in grado di assumere personale, potrebbe fare un’enorme differenza.” Secondo Woldu, infatti offrire come aiuto cibo e sussidi non è stata la chiave giusta per promuovere il cambiamento nel Paese, queste risorse, secondo Woldu, infatti, servono solo a “rendere le persone più dipendenti, ma se le persone hanno accesso all’istruzione e al lavoro, possono davvero trasformare la propria vita e quella della propria nazione.”
Foto: Chris Jackson/Getty Images
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