Mondo

La chiave di volta del fundraising

Il database

di Redazione

Per molte organizzazioni non profit la gran parte degli investimenti in comunicazione riguarda la raccolta fondi. Reclutare nuovi donatori, ringraziare chi ha donato, sollecitare una nuova donazione, informare sui nuovi progetti dell’organizzazione sono alcune delle tipiche azioni che un fundraiser si trova ad ideare e gestire. Alla base di tutte queste azioni c’è uno strumento preziosissimo: il database, cioè la raccolta di tutte le informazioni sui donatori effettivi e potenziali, organizzate e consultabili secondo una serie di criteri. Vale la pena di curarne la messa a punto e la revisione periodica, anche perché un database trascurato si trasforma molto rapidamente, anche nell’arco di pochi mesi, in un database inutile.

La prima questione da affrontare per fare un check up sulla situazione della propria organizzazione è l’unicità del database. Solo con un database unico al quale fanno riferimento tutte le funzioni dell’organizzazione è possibile avere sotto controllo la situazione. È quindi importante riunire in un solo file tutte le informazioni di cui siamo in possesso e che sono magari duplicati parzialmente in più database presenti nell’organizzazione o disperse in modo non organizzato (archivi cartacei, file provvisori in Word o Excel?). Un caso tipico di duplicazione di database è, per esempio, quello della presenza contemporanea di un database offline, aggiornato dagli operatori dell’organizzazione, e un database online che a volte è aggiornato dallo stesso donatore che inserisce le informazioni che lo riguardano nell’apposito modulo online.L’unificazione dei database riguarda anche la cosiddetta “formattazione” dei dati, cioè il formato in cui sono inseriti nel database. Va quindi controllato, per esempio, che l’indirizzo per ogni contatto sia scritto nello stesso modo, con le stesse abbreviazioni o che i nominativi siano uniformati nel modo di inserimento. Se non si effettua questo genere di uniformazione del database, può succedere che il nostro software consideri come relativi a due individui i dati di una stessa persona inseriti con formati diversi.Il terzo passaggio è verificare che ogni contatto dell’organizzazione, sia esso un donatore attivo o no, sia identificato da un codice unico (ID) e che non ci siano dati che accomunino indebitamente più persone, come uno stesso indirizzo email generico attribuito ai membri di una stessa famiglia o di una stessa azienda. Questo genere di imprecisione riduce infatti la possibilità di utilizzare in modo efficace la personalizzazione del contenuto delle varie azioni di comunicazione.Scendendo ad un livello di dettaglio maggiore, possiamo verificare se la scheda dedicata ad ogni donatore attivo o potenziale contenga le informazioni che ci servono per strutturare nel modo più efficace le azioni di comunicazione. Oltre ai dati anagrafici e di contatto con la persona, la scheda dovrebbe contenere, in primo luogo, la memoria di tutti i contatti avuti con l’organizzazione, con indicazione di come è avvenuto il primo contatto. Un’altra informazione preziosa sono le preferenze espresse dal donatore sul tipo di materiale informativo che desidera ricevere e sul canale di comunicazione preferito. La scheda deve poi consentire di registrare ogni donazione effettuata e vedere lo storico con la data, l’importo, la modalità utilizzata per la donazione e il codice identificativo della campagna.

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