Famiglia

La Cina chiude le adozioni internazionali

La notizia era nell'aria, visto che comunque dopo il Covid le adozioni non erano mai state riaperte e in cinque anni sono state concluse 21 procedure, solo fra chi aveva già un abbinamento prima della pandemia. Pechino l'aveva già esplicitato a inizio settembre ma solo ora la decisione è stata ufficializzata con la nostra Autorità Centrale

di Sara De Carli

Fine delle adozioni internazionali in Cina. Ne dà notizia ufficiale la Commissione per le Adozioni Internazionali, sul proprio sito. Il 5 maggio 2025 infatti è pervenuta una nota ufficiale del ministero degli Affari Civili della Repubblica Popolare Cinese, datata 27 agosto 2024, che comunica la decisione di interrompere in via definitiva le adozioni internazionali di minori cinesi, a decorrere dal 28 agosto 2024. Una scelta che la Cina aveva espresso già a inizio settembre, comunicandola agli Stati Uniti, ma di cui finora era mancata invece la comunicazione ufficiale al nostro Paese: cosa che almeno inizialmente aveva lasciato aperta qualche speranza.

La Cina, si legge nella stessa nota, «continuerà a promuovere il miglioramento dell’assistenza ai bambini orfani e in difficoltà, manterrà la comunicazione e la collaborazione con il governo italiano e le relative istituzioni e continuerà a seguire la crescita dei minori già dati in adozione internazionale». A tal proposito quindi restano validi tutti gli obblighi del post adozione, per chi ha già adottato. Sono previste eccezioni solo per cittadini stranieri che adottino, all’interno del territorio cinese, figli del coniuge o minori imparentati entro il terzo grado di parentela collaterale.

La notizia non è certo improvvisa o imprevista, per quanto in nome della diplomazia nessuno osasse parlare a voce alta di chiusura, finché la comunicazione ufficiale da parte della Repubblica Popolare Cinese mancava. Di fatto però la Cina ha chiuso le adozioni al momento del Covid e poi non le ha più riaperte: tutti gli sforzi successivi si sono concentrati per salvare almeno le procedure adottive in essere e non ancora concluse, in particolare quelle in fase più avanzata in cui le famiglie avevano già ricevuto l’abbinamento con il bambino e aspettavano solo l’autorizzazione per la partenza (qui la risposta del ministro Tajani a un’interrogazione parlamentare nel maggio 2023).

A giugno 2024, il vicepresidente della Cai Vincenzio Starita a VITA diceva che «le autorità diplomatiche si stanno muovendo in Cina, ma sembra che i cinesi pur non formalizzando una sospensione delle adozioni stanno manifestando che di fatto non hanno intenzioni di farle ripartire» (leggi qui).


101 mesi di attesa

I cinque enti autorizzati ad operare nel Paese (Aibi, Ciai, Cifa, I bambini dell’arcobaleno, Naaa), secondo il sito Cai nel 2024 hanno concluso 13 adozioni in Cina, con tempi medi di attesa che vanno da 68 a 101 mesi, a seconda dell’ente. Sessantotto mesi sono 5 anni e mezzo, 101 sono più di otto anni: un tempo infinito.

Nel 2019 le adozioni in Cina erano state 46, ma solo tre anni prima, nel 2016, erano 118. Nel 2020 comunque 5 adozioni erano state concluse, mentre nel 2021 e nel 2022 le adozioni sono state zero: il report della Cai nel 2021 citava tra le cause del calo numerico delle procedure concluse «la chiusura alle adozioni in alcuni Paesi (Cina)», mentre nel 2022 scriveva che era «perdurato il blocco delle procedure adottive in Cina, che negli anni precedenti rappresentava uno dei principali Paesi di origine dei minori adottati all’estero». Nel 2023 sono state concluse 3 adozioni e nel 2024, appunto 13.

35 coppie ancora in attesa

Nel 2021 le procedure pendenti nel Paese erano 126, scese a 35 al 31 dicembre 2024. Anche nella nuova nota si legge che «nonostante il ritardo con cui è arrivata la comunicazione» la Commissione, «già consapevole dei forti rallentamenti in essere nelle adozioni dalla Cina, aveva provveduto a informare gli enti autorizzati e le aspiranti famiglie adottive circa questa situazione di stallo, con una nota del 29 aprile». Che succede ora alle famiglie ancora in attesa? Venerdì scorso, 16 aprile, a seguito della comunicazione ufficiale, la Cai ha ribadito ufficialmente agli Enti che l’unica possibilità è quella di cambiare Paese.

Da Cervia, “cambiare per esserci”

Sabato 17 maggio, il vicepresidente Starita a Cervia ha dialogato con le famiglie del Ciai, nel corso della loro annuale assemblea intitolata “Buongiorno domani. Cambiare per esserci”. Della Cina pubblicamente non si è parlato, né della comunicazione che la Commissione aveva inviato agli enti il giorno prima. Nel corso del dibattito dedicato al futuro delle adozioni internazionali, tuttavia, Starita ha condiviso interessanti riflessioni e comunicato alcune novità.

Orientati alla chiusura

«Noi quotidianamente cerchiamo di avere contatti con i Paesi di origine dei minori e cercare di migliorare le relazioni, ma ormai l’orientamento uniforme nella stragrande maggioranza dei Paesi è di chiusura. C’è un’interpretazione profondamente errata del principio di sussidiarietà in molti Paesi, per cui si ritiene che basta semplicemente che un minore abbia l’opportunità di vivere in una situazione similfamiliare, come ad esempio in una casa famiglia», ha detto. D’altra parte anche molti Paesi di accoglienza si stanno progressivamente allontanando dall’adozione internazionale per via degli scandali che ci sono stati relativamente ad adozioni concluse negli anni passati: «È un dato oggettivo che riguarda Paesi di accoglienza storicamente importanti, come l’Olanda, la Danimarca, la Norvegia, la Svizzera». In Francia per esempio, l’anno scorso sono state fatte appena 104 adozioni internazionali.

«Noi italiani abbiamo fatto una scelta diversa e mi auguro che questa scelta possa continuare anche nel futuro, nel senso che di fronte al grido di dolore dei bambini non abbiamo intenzione di voltare le spalle. La nostra scelta è stata quella di accompagnare all’attività di adozione internazionale l’attività di cooperazione internazionale. L’ultimo bando è stato pubblicato pochissimi giorni fa e in questi ultimi cinque anni abbiamo investito circa 28 milioni di euro. Con questa scelta stiamo dicendo ai Paesi di origine “siamo qui da voi per applicare integralmente la Convenzione dell’Aja, con progetti di cooperazione per proteggere l’infanzia che servono anche a diffondere la cultura della tutela dei diritti dei minori. Questa è l’unica strada per far sì che l’adozione internazionale non venga vissuta da questi Paesi come una esportazione forzosa o forzata di minori».

Verso gli “Stati generali dell’adozione internazionale”

Tre novità sono “tecniche”: primo, la volontà della Cai di organizzare per il 2026 l’Assemblea generale degli enti autorizzati, un appuntamento che verrà preparato con un percorso articolato su quattro tavoli tematici, già partito (costi dell’adozione internazionale; ruolo della cooperazione internazionale; minori special needs; coordinamento tra i vari attori); secondo, la volontà di andare verso la gratuità delle adozioni internazionali, per le famiglie con minore Isee; terzo, la volontà di anticipare i tempi di erogazione del bonus per chi adotta bambini con special needs, avvicinandolo molto all’ingresso in Italia, in modo che quelle risorse possano essere immediatamente disponibili per avviare i necessari percorsi sanitari e di supporto psicologico.

Verso la gratuità dell’adozione

Vista la nuova realtà delle adozioni internazionali, con il 74% dei minori adottati nel 2024 che sono special needs, «è una contraddizione chiedere alle straordinarie coppie italiane di adottare bambini special needs e poi pretendere che queste coppie affrontino dei sacrifici economici considerabili», ha detto Starita. In questi cinque anni l’ammontare dei rimborsi è aumentato e – anticipa – «il decreto per le procedure adottive concluse nel 2024, ora alla firma del ministro Giorgetti, per le famiglie con Isee più basso vede rimborsi aumentati del 40% rispetto a quelli che esistevano nel 2020».

Nella consapevolezza però che i rimborsi arrivano a distanza di tempo dall’ingresso in famiglia del minore, Starita ha detto che la Cai sta lavorando per «incentivare, attraverso dei contributi straordinari, le famiglie nella fascia Isee più bassa, in modo da poter iniziare le procedure di adozione senza dover sopportare un peso economico troppo oneroso». Obiettivo dichiarato: fare in modo che il contributo per chi adotta minori con special needs «arrivi a breve distanza dall’autorizzazione all’ingresso».

Verso un sistema unitario?

Sollecitato sull’ipotesi che si possa mettere mano in maniera strutturale e radicale al sistema della protezione dei minori – che ormai fra semiabbandono permanente, rischio giuridico che dura anni, adozione aperta… presenta tante “zone grigie” che fanno apparire forse superata la necessità di ragionare “a silos” di affido, adozione nazionale e adozione internazionale – il vicepresidente Starita ha detto che oggi «è possibile immaginare un percorso unitario in cui si valorizzi anche la presenza degli enti autorizzati, per una formazione complessiva che consente di affrontare qualunque percorso di adozione, sia nazionale che internazionale».

Sulla falsariga del lavoro recentemente fatto per uniformare la formazione erogata dagli enti post-conferimento dell’incarico, c’è ora l’idea di lavorare per dare dei principi cardine comuni per la formazione pre-decreto di idoneità, da redigere in collaborazione con l’Aimmf, i tribunali per i minorenni, i servizi sociali territoriali, per la formazione futura formazione di tutti gli aspiranti genitori adottivi, coppie e singoli.

Verso una riforma radicale del sistema

Su un ripensamento generale del sistema, Starita ha lasciato intendere anche che forse «questo è il momento storico giusto per iniziative di questo tipo, perché l’intervento della Corte Costituzionale sui single dal punto di vista giuridico ha “scoperchiato un vaso”. Prima di arrivare ad una demolizione del sistema – che è molto equilibrato – attraverso sentenze, si può forse provare a ragionare di una riforma radicale del sistema delle adozioni nel nostro Paese».

Foto di Ran Liwen su Unsplash

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