Non profit
La controcultura del dono raccontata da chi la pratica ogni giorno
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di Redazione
Gratuità e bellezza sono due parole sorelle, molto più di quanto si pensi. Perché in quella cura eccedente, data anche se non dovuta, scambiata anche se non ricambiata, si genera la bellezza dei giorni e la verità delle relazioni. E di una società. Don Oreste Benzi diceva che le cose belle prima si fanno, poi si pensano. Maurizio Maggiani scrive che a casa sua la bellezza non la sapeva dire nessuno, la bellezza la facevano, ognuno la sua parte. Parlando con i dirigenti delle associazioni di volontariato, l’impressione è che la consapevolezza del legame tra gratuità e bellezza passi innanzitutto da qui, dalla certezza che fare volontariato è innanzitutto un’esperienza bella, che appassiona totalmente. «Altrimenti uno farebbe il volontario per un anno, non per tutta la vita», chiosano all’unisono.
Giorgio Trojsi, segretario generale di Vidas, l’associazione che con un centinaio di volontari segue i malati terminali, è paradossalmente quello che ne ha l’idea più chiara: «Il rapporto con un malato in fase terminale è per i volontari un arricchimento enorme. L’incontro con gli ultimi giorni di una persona è un momento di vita potentissimo, che vuoi ripetere, pur nella fatica, proprio perché così vitale. Da questi incontri i volontari escono più leggeri, più sereni e questa serenità la portano nella loro vita. Per questo il volontariato è win-win-win, fa star meglio chi aiuta, chi è aiutato e la società nel suo complesso».
Gratuito, cioè bello
Nella sua prima intervista da arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola ha parlato di gratuità. Ma con una sottolineatura spiazzante: «il gratuito non è ciò che è gratis», ha detto, «il gratuito è pensare, fare, realizzare un’opera perché è buona in sé, bella in sé». Dalla Cometa di Como, dove tutto è bellezza, dalla grande sala da pranzo della comunità famiglia alle vetrate sui carpini della scuola per ragazzi difficili, Erasmo Figini, stilista, spiega che «la bellezza è una cosa sola con la gratuità, entrambe si danno a te senza merito, in maniera incomprensibile. Sono la bellezza e la gratuità a generare accoglienza, perché una casa bella ma vuota non ha senso. Quando ti lasci generare dalla bellezza, quando fai questa esperienza, non puoi che generare bellezza, non per possederla ma per condividerla».
Per padre Giuseppe Bettoni, fondatore di Arché, un’associazione nata giusto vent’anni fa per prendersi cura dei bambini sieropositivi, il volontariato deve essere «una controcultura del dono, che apra spazi per l’irruzione dell’inedito, del sorprendente, di quello che non ti aspetti possa esserti dato, al di fuori dei criteri di economia e scambio. Se riuscissimo a contagiare la cultura in questo senso, allora vedremmo all’opera anche una “globalizzazione della solidarietà”. In una società liquida, che fa acqua da tutte le parti, il volontariato si innesta con la solidarietà. E cosa c’è di solido nella solidarietà? Lo dice il significato giuridico: la responsabilità è in solido e nessuno può tirarsene fuori»
Ti regalerò una rosa
Si narra che Rainer Maria Rilke, quando abitava a Parigi, percorreva tutti i giorni la stessa strada. Al bordo della via stava una mendicante. Ogni giorno, Rilke le dava una moneta. Ma un giorno le diede una rosa. La donna si illuminò e disse: «Mi ha vista!». Ecco la bellezza. La stessa cosa accade davanti ai poveri in fila fuori dalla mensa di Opera San Francesco. Anche i volontari sono in coda, tante richieste ci sono.
«È l’incontro quotidiano con il bisogno che stimola il desiderio di attivarsi» spiega padre Maurizio Annoni. Ogni giorni danno 2.500 pasti, 230 docce, 130 visite mediche ai poveri di Milano, anche grazie a 617 volontari. «Il fatto è che spesso alla società attuale mancano gli occhi». L’augurio al volontariato, per i suoi prossimi vent’anni, è che sappia sfuggire il rischio di una carità efficace ma cieca (o almeno miope).
Nessuno ti regala niente, noi sì
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