Non profit
la cooperazione agli spiccioli
Dopo i tagli, c'è stato il tentativo (in parte sventato) di dirottare tutti i fondi sull'umanitario militare. Ma sono tutti segnali che non si crede più nell'azione della società civile su quelle frontiere così delicate. E così si perde un patrimonio
di Redazione

L a Cooperazione allo sviluppo è la Cenerentola della politica italiana da ormai diversi anni. E più passa il tempo e più si ha la sensazione che il cammino di questo settore, così strategico nell’ambito delle relazioni con in Paesi in via di sviluppo, sia segnato da troppe buone intenzioni, le quali, puntualmente, alla prova dei fatti, vengono disattese. Le ragioni, a parte la mancanza di denari nelle casse dello Stato, sono legate soprattutto alla scarsità d’interesse da parte della nostra classe dirigente alle prese, come al solito, col tormentone del deficit pubblico.
Il G8 in casa nostra
Guardando all’orizzonte che si profila all’inizio del 2009, vi sono due questioni centrali: la presidenza italiana del G8 e il decreto sulle “missioni internazionali”. Nel primo caso è chiaro che il nostro governo intende fare bella figura ponendo al centro dell’agenda dei Grandi la lotta contro le tre grandi pandemie: Hiv/Aids, tubercolosi e malaria. Davvero un impegno gravoso e che speriamo non si risolva nelle semplice profusione di belle parole. Non foss’altro perché, proprio per dare sostanza a questo indirizzo, il ministro degli Esteri, Franco Frattini ha ritenuto opportuno mantenere la delega della Cooperazione, bocciando peraltro la possibilità di creare un’agenzia autonoma. Com’è noto le organizzazioni non governative non hanno gradito, ma sperano comunque che al G8 l’Italia riesca a rilanciare almeno parte dell’agenda di Gleaneagles del 2005, visto e considerato che questa volta alla Casa Bianca c’è un nuovo inquilino, Barack Obama.
La fine della cooperazione civile?
La seconda questione, quella relativa al decreto sulle missioni, riguarda invece la messa a punto di un testo in cui curiosamente la voce “cooperazione civile” è stata prima vittima di un’imboscata e poi reintrodotta per il rotto della cuffia, ma con uno stanziamento di 45 milioni di euro valido per soli sei mesi. Si tratta di una cultura, ed è questo il dato davvero preoccupante, che stravolge i principi di umanità e imparzialità degli aiuti, ignorando la necessità di realizzare legami e partnership durature, non funzionali unicamente all’azione di peacekeeping, ma soprattutto al bene comune e allo sviluppo dei popoli.
Viene spontaneo chiedersi se non sia davvero in atto una sorta d’involuzione rispetto al passato. Non v’è dubbio che il nostro è un Paese in cui la dimensione della globalizzazione viene percepita come una sorta di minaccia, quando, se fosse governata, a partire dalle politiche migratorie, coniugando solidarietà e sussidiarietà potrebbe trasformarsi in una straordinaria opportunità per tutti.
Nel frattempo sono avvenuti alcuni fatti di cronaca, direttamente dal campo, sui quali dovremmo meditare. Mi riferisco al sacrificio estremo di un personaggio del calibro di padre Giuseppe Bertaina, freddato venerdì 16 gennaio all’estrema periferia di Nairobi, in Kenya. Come anche al sequestro del volontario della Croce Rossa Eugenio Vagni, catturato il giorno prima nelle Filippine meridionali, o alla lunga prigionia in territorio somalo di suor Maria Teresa Olivero e della sua consorella Rinuccia Girando, rapite da un gruppo di miliziani nella loro missione keniana di El-Wak lo scorso 9 novembre.
Ci auguriamo, naturalmente, che la liberazione di questi ostaggi avvenga il prima possibile, ma non v’è dubbio che i loro nomi sono venuti alla ribalta a sorpresa, in una sorta d’attimo fuggente: prima erano illustri sconosciuti, poi il silenzio stampa imposto, durante le trattative, dalle autorità per facilitarne rilascio, li ha fatti per certi versi dimenticare. Eppure si tratta di uomini e di donne che rappresentano il fiore all’occhiello della nostra cooperazione spirituale e materiale, avendo deciso d’impegnare la vita per gli ultimi, di coloro che vivono in condizioni penose nelle estreme periferie del villaggio globale.
La profezia delle loro vite
Ecco perché dovremmo fare di tutto per cogliere la profezia della loro scelta. In una stagione come quella del nostro tempo, scandita dagli algidi resoconti delle Borse che evidenziano la crisi di un sistema che getta al vento miliardi dollari quasi fossero coriandoli, la vocazione di questi nostri connazionali esprime la consapevolezza che c’è sempre e comunque più gioia nel dare che nel ricevere. Ecco che allora, se vogliamo davvero tutti quanti insieme rilanciare la Cooperazione, dovremmo ripartire mettendoci tutti alla loro scuola.
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