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La Corte Europea certifica la guerra per procura della Russia in Donbass a partire dal 2014
La sentenza della Corte Europea per i Diritti Umani del 10 luglio scorso stabilisce che "la Russia è responsabile di numerose violazioni del diritto internazionale per aver sostenuto i separatisti anti-Kiev nell'Ucraina orientale dal 2014, per l'abbattimento del volo Malaysia Airlines 17 nello stesso anno e per l'invasione dell'Ucraina nel 2022". Viene così sconfessata la tesi di chi ancora sostiene che quella del Donbass era una guerra civile

Che la corruzione sia da sempre un fenomeno pervasivo che avviluppa e impregna gli organi amministrativi dello stato e la società ucraina a tutti i livelli è un dato di fatto acclarato e risaputo. Era considerato, quasi, come un elemento culturale del Paese ereditato dalle pratiche correnti nell’Unione Sovietica. Le manifestazioni di massa che hanno avuto luogo in piazza Majdan e in altre piazze ucraine a cavallo fra il 2013 e il 2014 poi sfociate nella “Rivoluzione della Dignità” avevano fra gli obiettivi prioritari proprio la lotta alla corruzione ed il suo sradicamento a partire dalla rimozione del presidente di allora, Viktor Janukovyč, ed il suo entourage ritenuti al vertice di una piramide di malaffare. La gente che protestava occupando caparbiamente gli spazi pubblici guardava all’Europa considerata come un’ancora di salvezza contro il malcostume dilagante. L’Accordo di Associazione fra Ue e Ucraina, negoziato e poi rinnegato dallo stesso Janukovyč, rappresentava per i manifestanti un punto di svolta, un’occasione unica e irripetibile per riformare e risanare da capo a coda tutti i settori dello Stato. Su 177 Paesi valutati nel 2013 l’Ucraina si trovava al 144esimo posto, cioè fra i peggiori, per quanto riguarda l’Indice di Percezione della Corruzione stilato ogni anno da Trasparency International. Quando fuggì Janukovyč nel febbraio del 2014 sotto la spinta del movimento di Piazza Majdan mi trovavo a Kiev e con centinaia di cittadini approfittai dell’occasione per recarmi alla dacia che il presidente si era fatto allestire con transazioni opache a pochi chilometri dalla città all’insaputa di tutti, anche se era il segreto di Pulcinella. Ricordo il volto sbalordito del tassista che mi aveva accompagnato a Mezhyhirya, entrando con me nella residenza presidenziale abbandonata, di fronte al lusso e allo sfarzo sfrenato. Non sapeva una parola di inglese ma con i gesti e l’espressione degli occhi riusciva a comunicarmi tutto il suo sdegno e la sua rabbia che rifletteva quella di un intero popolo. Negli anni successivi il tema della lotta alla corruzione ha dominato la cronaca politica dell’Ucraina anche e soprattutto su insistenza dei partner europei che vincolavano i finanziamenti al rispetto degli standard di trasparenza vigenti nell’Ue. La discussione, in particolare, era fra chi voleva la creazione di organi specializzati in materia all’interno della magistratura ordinaria, come in tutti i Paesi “normali”, e chi preferiva, invece, che questi fossero completamente separati e indipendenti vista la situazione emergenziale. Alla fine prevalse la seconda opzione a sottolineare la gravità del fenomeno e la determinazione a contrastarlo da parte delle nuove autorità. Nacquero, così, l’Ufficio Nazionale Anti-Corruzione dell’Ucraina (Nabu) e l’Ufficio del Procuratore Specializzato in Anti-Corruzione (Sapo), due agenzie libere di agire e di svolgere indagini senza condizionamenti.
La posizione di questi organi avrebbe dovuto rafforzarsi con l’elezione nel 2019 di Volodymyr Zelensky che della lotta alla corruzione aveva fatto il suo cavallo di battaglia salvo inciampare lo scorso 22 luglio quando ha firmato la legge appena approvata dalla Verhovna Rada, il parlamento ucraino, che lega le mani a Nabu e Sapo portandoli sotto il controllo del Procuratore Capo di nomina presidenziale. Un vero e proprio golpe secondo alcuni analisti, visto che gli ispettori Nabu si sono spinti a indagare perfino la cerchia ristretta del presidente, e anche secondo la stragrande maggioranza della popolazione che è scesa subito, di nuovo, in piazza a protestare nonostante sia in vigore la legge marziale. Chi manifesta oggi in Ucraina è quella stessa società civile che manifestava dieci anni fa in modo spontaneo contro il regime di allora. Spiace davvero che in Italia sia prevalsa in alcuni ambienti, anche pacifisti, la narrativa putiniana ovvero che i dimostranti di Piazza Majdan fossero un manipolo di estremisti di destra con inclinazioni neo-naziste telecomandati dagli Usa.
I fatti di oggi provano il contrario. Così come attesta il contrario la sentenza della Corte Europea per i Diritti Umani del 10 luglio scorso che, facendo seguito a quella del 17 novembre del 2022 della Corte Distrettuale dell’Aja, ha stabilito che “La Russia è responsabile di numerose violazioni del diritto internazionale per aver sostenuto i separatisti anti-Kiev nell’Ucraina orientale dal 2014, per l’abbattimento del volo Malaysia Airlines 17 nello stesso anno e per l’invasione dell’Ucraina nel 2022”. Contraddicendo chi in Italia ancora sostiene che quella del Donbass era una guerra civile i giudici olandesi affermano che “La Russia era responsabile delle azioni delle forze armate russe e dei separatisti armati”.
In parole povere, quella del Donbass iniziata nel 2014 era una guerra per procura mossa dalla Russia contro l’Ucraina. L’indice sulla corruzione di Transparency International del 2024 pone l’Ucraina al 105esimo posto su 180 paesi (la Russia si trova al 154esimo posto). Un netto miglioramento rispetto a dieci anni fa ma c’è ancora molto da fare. Intanto il vento del Majdan è tornato a soffiare impetuoso costringendo giovedì Zelensky e il parlamento a fare retromarcia per ripristinare l’indipendenza di Nabu e Sapo che ora possono tornare ad operare senza indebite pressioni.
Foto La Presse: soldato russo durante un’esercitazione nella Repubblica Popolare del Donetsk
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