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La crisi con l’opposizione non è ancora superata
L'esperta di Iran Farian Sabahi spiega cosa sta succedendo in Iran ad un anno dalle elezioni
di Redazione
Alla vigilia del primo anniversario delle elezioni presidenziali iraniane, “il movimento di opposizione è ancora presente, ma sicuramente molti sono stati intimiditi dalla repressione di questi 12 mesi”. E’ quanto afferma Farian Sabahi, docente all’Università di Torino e Ginevra, in un’intervista ad AKI-ADNKRONOS INTERNATIONAL sulla situazione politica nella Repubblica Islamica. Negli ultimi tempi l’attività politica dell’opposizione si è sensibilmente ridotta. Secondo alcuni esperti i motivi sono da ricondurre soprattutto alla violenza con cui il governo ha represso ogni forma di dissenso e alla stretta imposta dalle autorità ai media indipendenti. “La repressione e le intimidazioni sono una spiegazione più che sufficiente – spiega la Sabahi – gli iraniani hanno memoria della rivoluzione e le famiglie sono reticenti a spargere altro sangue”. Numerose manifestazioni che l’opposizione ha organizzato nell’ultimo anno a partire dalle contestate elezioni di giugno dello scorso anno sono sfociate, infatti, in un bagno di sangue. A pochi giorni dall’approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza Onu di una nuova risoluzione che sanziona l’Iran per il suo programma nucleare, la docente ritiene che il governo iraniano non abbia superato la fase di crisi scoppiata all’indomani delle elezioni e che sta costringendo la Repubblica Islamica ad affrontare la più delicata transizione politica della sua storia. “Le elezioni e i brogli delle ultime elezioni presidenziali sono soltanto la punta dell’iceberg di una crisi ben più profonda che coinvolge la sfera dei diritti, quella economica e sociale”, dichiara la Sabahi. “Senza dimenticare che nel contesto internazionale l’Iran è comunque isolato: Russia e Cina hanno votato a favore del quarto round di sanzioni – prosegue – e anche se è vero che Turchia e Brasile si sono schierate dalla parte di Teheran, nel frattempo Ankara ha anche scippato all’Iran il ruolo di difensore dei diritti dei palestinesi”. A Gaza, conclude la Sabahi “un neonato è stato chiamato Erdogan ma nessun genitore ha finora dato il nome Ahmadinejad al proprio figlio. Una banalità che però a Teheran potrebbe essere percepita come uno smacco”.
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