Welfare
La cura all’aria aperta
L'intervento residenziale è sempre meno efficace. Quali vie alternative? Il modello lombardo
di Redazione

La relazione tra longevità e malattia di Alzheimer, ma soprattutto come questa prima relazione porti a ragionare di un welfare di comunità da costruire sono i temi dibattuti durante il convegno ”Longevità e alzheimer: costruire welfare di comunità” che si è tenuto questa mattina a Milano. A organizzare l’evento Vita, in collaborazione con Regione Lombardia – Direzione Generale Famiglia e Politiche Sociali, Novartis e Sodexo”.
Sono intervenuti: Giulio Boscagli, assessore alla Famiglia e solidarietà sociale della Regione Lombardia; Giampaolo Landi, Assessore alla Salute del Comune di Milano, e Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria. La successiva tavola rotonda ha convocato tutti gli attori del welfare di comunità, dai soggetti pubblici, a quelli del privato-sociale, dalle imprese agli ordini professionali. Hanno così preso parola e si sono confrontati Marcello Bozzi, consigliere del Comitato centrale Federazione IPASVI, Franco Bruschi, direttore Divisione Sanità e Senior di Sodexo Italia; Cinzia Gagliardi, dirigente Direzione Generale Famiglia e Politiche Sociali; Angelo Ferro, presidente Fondazione Opera Immacolata Concezione Onlus; Paola Garbella, direttore OP Cerino Zegna; Michele Mangano, presidente nazionale Auser; Massimo Minelli, consigliere di Amministrazione di Comunità Solidali – CGM; Enrica Picchioni, Lega Coop Sociali; Mariarosaria Liscio, Federazione Alzheimer Italia moderati da Riccardo Bonacina, direttore editoriale di Vita. A chiudere il convegno con una riflessione il filosofo e scrittore Riccardo De Benedetti.
La malattia di Alzheimer è la più comune causa di demenza nella popolazione anziana dei paesi occidentali. L’incidenza della malattia è simile in tutto il mondo ed è stimata in 125 nuovi casi su 100mila nella fascia d’età superiore ai 60 anni. La prevalenza è circa 300/100mila tra 60 e 69 anni, 3.200/100mila nella fascia 70 – 79 e 10.800/100mila nei soggetti oltre gli 80 anni. Ciò significa che in Italia si stima che si ammalino annualmente di Alzheimer oltre 20mila persone e siano circa mezzo milione le persone che convivono con la malattia. Nella sola Lombardia, che al 1° gennaio 2008 aveva una popolazione residente di oltre 9,64 milioni (7,16 milioni con meno di 60 anni e 2,48 milioni con oltre 60 anni), ogni anno si stimano oltre 3.300 nuovi casi, mentre i soggetti colpiti dalla patologia con più di 60 anni risulterebbero circa 83mila, di cui i 2/3 con più di 80 anni. Nel Comune di Milano, infine, si stimano circa 500 nuovi casi all’anno e oltre 14mila i malati di Alzheimer.
L’allungarsi delle aspettative di vita, il carattere progressivo della malattia, la necessità di un’assistenza sempre più presente in ogni momento della vita quotidiana, la mancanza, soprattutto nelle grandi città, di un’assistenza familiare adeguata che, a volte, per ragioni diverse, diventa un vero e proprio abbandono, mettono all’ordine del giorno la necessità di nuove strategie volte a gestire un problema, la cui dimensione è solo parzialmente di carattere sanitario. Le risposte da dare ai malati di Alzheimer, in realtà, sono emblematiche rispetto a come organizzare, più in generale, i servizi a favore della popolazione anziana in Italia, in particolar modo dei non autosufficienti per diverse problematiche o patologie, ad esempio, individuando all’interno delle maggiori realtà sociali attive nel campo della cooperazione i referenti più idonei per focalizzare le principali priorità ed istanze, e coinvolgendo tutti gli attori impegnati sul fronte della longevità in un confronto costruttivo e trasversale.
«Attualmente in Lombardia sono presenti 90 nuclei dedicati all’assistenza dei malati di Alzheimer, per un totale di 1.657 posti e un impegno economico annuale di oltre 30 milioni di euro» ha sostenuto Giulio Boscagli, assessore alla Famiglia e Solidarietà sociale della Regione Lombardia. «Oltre alle strutture è però sempre più necessario fornire un adeguato supporto alle famiglie che si assumono il carico assistenziale, così da rimandare il ricorso alla residenzialità e ridurre l’uso improprio di strutture ospedaliere. Il malato, infatti, ha il diritto di vivere nel proprio ambiente per quanto possibile ed è nostro dovere sostenere le famiglie che desiderano farsi carico di questi pazienti».
Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria ha spiegato che «costruire il welfare di comunità significa aver compreso che il tradizionale modello di assistenza alle malattie croniche, costoso, complesso e di lunga durata, rischia di entrare in crisi nel prossimo futuro. L’invecchiamento della popolazione comporta un’accelerazione esponenziale della cronicità delle malattie e l’Alzheimer è parte importante del fenomeno, come dimostrano i dati riportati. Dobbiamo progettare e cercare di mettere in pratica un modello di assistenza basato, oltre che sull’intervento pubblico, anche e soprattutto, sulla partecipazione delle comunità locali ai processi di cura. Ciò vuol dire valorizzare la sensibilità e la generosità, oltre alle competenze, che sono presenti nei nostri territori, per convogliarle verso un modello assistenziale più vicino ai bisogni reali, senza bardature burocratiche e a costi più bassi, mantenendo però un alto livello di competenze tecniche, ottenibile anche attraverso processi formativi diversi da quelli tradizionali. È una sfida coraggiosa che dobbiamo affrontare con intelligenza e determinazione per garantire un domani sereno agli ammalati e alle loro famiglie.
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