Egiziana, Al-Sa’dawi è donna tenace ed estremamente sensibile ai diritti umani, talvolta incapace di moderazione. Ma il suo invito a mobilitarsi ci riguarda molto da vicino…di Randa Ghazy
Nawal è una così. Una al cui confronto, Galileo Galilei era un uomo di Chiesa. Cioè, una donna tenace ed estremamente sensibile ai diritti umani, ma talvolta incapace di moderazione. Un suo recente articolo pubblicato sul quotidiano egiziano Al Masri Al Youm, poi ripreso dall’interessante sito Arab Reform Initiative, dice papale papale: la religione è un fatto privato. Se ne deve stare lontana dalla vita pubblica, fuori dalla costituzione, dallo Stato, dall’educazione, dalla cultura, dai media, e da tutte le leggi, incluso il codice di famiglia. Però.
Spingendosi oltre, afferma anche che la religione non va ereditata dai propri genitori. E conclude celebrando la fondazione del Global Solidarity Movement for Secular Society, uno strumento globale per salvare globalmente uomini e donne da leggi ingiuste, imposte in nome di Dio e della religione.
Psichiatra, attivista, femminista, scrittrice, un mucchio di qualifiche ammirevoli per definire una donna che si fa simbolo, fautrice di battaglie infinite, coraggiosa all’inverosimile.
Al-Sa’dawi si è resa conto di qualcosa che forse noi italiani, spesso campanilisti un po’ per vocazione, non capiamo fino in fondo o non riusciamo ad applicare veramente: bisogna lavorare insieme. A livello globale ed insieme locale. Il mondo islamico è una polveriera, sostiene la petizione del neonato movimento.
Eh già, ce n’eravamo accorti. Un Saddam, un Ahmadinejad, qualche finto moderato a cui ormai bisogna tenere insieme i pezzi a furia di lifting, e poi mancherebbe solo Jack lo squartatore.
Una morale forte, opprimente, che detta la vita delle persone. C’è sempre qualcuno pronto a dirti come vivere la vita, anche se non ti sei mai sognato di chiederglielo. Un’insopportabile e patriarcale misoginia, che riduce le donne a oggetto da regolare, punire, sistemare, addobbare, insomma tutti quelli che passano hanno diritto di parola, tranne la diretta interessata. E infine una libertà d’espressione monca, parziale, finta, stucchevole, a volte celebratissima e proprio per questo finta come le sopracciglia di Moira Orfei: in modo così evidente, suvvia. Contro tutte queste piaghe, è giusto pensare di muoversi in modo concertato, globale, univoco. È giusto pensare ad un movimento transnazionale e carburato da menti intellettuali, consapevoli, fervide.
Nawal dice, nel suo pezzo: «Oggi in Iran una donna morirà. Si chiama Sekineh, verrà lapidata. È una cosa che dobbiamo condannare a livello locale e globale». È vero, grandi rivoluzioni vengono da grandi movimenti, e se un’intellettuale egiziana che vive negli Stati Uniti lo decide, perché non deciderlo anche noi, giovani menti europee.
Perché non creare anche noi, il nostro network. Oltre a Jack lo squartatore e alle sopracciglia di Moira Orfei esiste qualcos’altro, siamo noi, le nostre esperienze e le nostre vite e la comprensione di quello che il mondo islamico ha bisogno, e infine la nostra presenza, più o meno casuale, in un continente che dà spazio per qualsiasi rivendicazione: a patto di sapere cosa si vuole, come ottenerlo, e di lavorare, giorno per giorno, per raggiungere la meta.
Perché come dice la grande Nawal, e senza dubbio, «il silenzio è un crimine».
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