Non profit

La legge del denaro vince sul lavoro. Questa è un’Italia alla rovescia

Giulio Sapelli e Pierangelo Dacrema: un confronto sulla situazione tra due economisti fuori dagli schemi

di Redazione

“Dono ed economia”. Non ci poteva essere titolo più controcorrente di quello scelto per il confronto tra Giulio Sapelli e Pierangelo Dacrema; un confronto che ha costituito il momento centrale del convegno promosso da Vita in occasione del 5 dicembre, Giornata del volontariato. È stato un dialogo che ha destato grandissimo interesse nel pubblico, per i continui rovesciamenti di prospettiva che i due economisti hanno proposto. Questa è una piccola sintesi del confronto.
Possiamo inserire il dono, la gratuità, il volontariato nel concetto di economia che ci accompagna?
Giulio Sapelli: Dovrebbe essere un assunto acquisito, ma oggi siamo giunti ad un livello impensabile di falsificazioni anche di tipo storiografico, per cui nulla è più scontato. Vi faccio un esempio: non c’è una sola pagina di Adam Smith in cui Smith parli di “invisible hands” del capitalismo; caso mai il mercato è fondato su “invisible hands shake”, invisibili strette di mano. Quindi il not for profit per me che sono un vecchio economista che non ha mai aderito all’economia neoclassica ma che è sempre rimasto ricardiano, neokeynesiano e perché no marxista, è consustanziale alla costruzione di un’economia che non abbia più al centro la massimizzazione del profitto ma la massimizzazione dell’occupazione. Questa semplice parola che sino a vent’anni fa per chiunque ? cattolico, protestante o ateo ? era la definizione di economia giusta, oggi non la ricorda più nessuno.
Pierangelo Dacrema: Sono d’accordo. La scienza dell’economia, che ormai è scienza del denaro, si è appiattita su un unico tipo di ragionamento, si è avvoltolata attorno ai numeri del denaro e il dibattito è concentrato solo su quello. Ci si dimentica che Adam Smith, il primo economista vero della storia, era professore di filosofia morale e che l’economia è innanzitutto una scienza dello spirito. L’uomo economico è un centro di emozioni, non un freddo calcolatore. Dal canto suo Ricardo considerava il denaro un mezzo non sostanziale: sicuramente non il pilastro dell’economia come invece è drammaticamente assurto. Ora scopriamo che il denaro costa un sacco di soldi, e costa anche centinaia di milioni di disoccupati, oltre che molta occupazione apparente e disoccupazione apparente.
Giulio Sapelli: In questi anni ci hanno fatto credere a tante leggende. Ad esempio che la sopravvivenza della società è messa a rischio dal fatto che non respiriamo, mentre quella che la mette davvero a rischio è questa superfetazione finanziaria del capitalismo. Quella che non produce occupazione, che arriva a fare leggi sul precariato ? fatte sempre da sinistra ? che per me fissano nuove forme di schiavismo… Si garantisce la sopravvivenza della società se si crea occupazione e poi se si crea aumento demografico.
Pierangelo Dacrema: La Bce ci insegna che la moneta è molto più importante degli uomini. Per statuto deve salvaguardare la moneta, e l’inflazione deve essere contenuta entro 2-2 punti e mezzo l’anno altrimenti il presidente di Bce salta. Invece i governi possono stare in piedi con il 10% di disoccupazione. Mi lascio convincere che sono in crisi per il fatto che si sono scombinati dei numeri? Negli States la crisi ha prodotto devastazioni. Eppure se guardiamo bene a quel che è accaduto capiamo bene quanto sia irrazionale l’economia che mette il denaro al centro: c’erano le case, ed erano state destinate alla parte più indigente della popolazione. Un’idea per niente stupida, che allargava anche ai più indigenti l’American dream. Se il governo federale avesse dato a questi milioni di persone tanto denaro quanto è stato dato alle banche per risanarle, questi signori avrebbero le case e le banche sarebbero sane perché loro sarebbero stati in grado di pagare i mutui. È straordinario no? E invece no, perché significava violare una regola fondamentale dei numeri e del denaro. Il risultato è il disastro in cui ci troviamo.

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