Ora comincio a sentire il peso degli anni. È morto Mike Bongiorno. E io me lo ricordo giovane, quando ero bambino. Ricordo il primo televisore in casa, una scatola pesantissima, quadrata, con lo schermo all’interno, in bianco e nero, correva l’anno 1956, ma forse anche più tardi, perché i miei genitori all’epoca non avevano tanti soldi, e l’arrivo della tivù fu un evento speciale, magico. Io ero ingessato dalla testa ai piedi, per gli esiti della mia malattia delle ossa. La televisione mi diede la magìa dell’universo e della cultura, dei cartoni animati e dei telegiornali. Di Rin Tin Tin. E di Mike Bongiorno. Con i suoi quiz, domande difficili, che richiedevano preparazione, attenzione, concentrazione, suspence, silenzio, secondi che corrono scanditi dall’orologio, e poi l’esplosione di gioia del concorrente, spesso bizzarro, un po’ eccentrico, ma erudito, competente, unico nel suo genere. Mike è stato un grande italiano, ha contribuito alla lingua nazionale, nella sua apparente ignoranza, ha unificato il Paese, il contrario della Lega, questo è certo, eppure terragno, semplice, comprensibile, del tutto apolitico. Neppure Berlusconi, in fondo, può sinceramente annoverarlo fra i suoi uomini, e gli ultimi anni di Bongiorno lo hanno dimostrato ampiamente, con quello strano, curioso affiatamento di Mike con Fiorello, e la decisione di cimentarsi su Sky con la formula più sua, il Rischiatutto. È giusto che sia morto così, in viaggio, in un attimo, per un infarto, quando la tivù non è più come la voleva lui, quando sta arrivando il digitale terrestre, quando ben altre veline affiancano i presentatori (?), certo non la Sabina Ciuffini, simbolo sexy castigato e timido di una generazione che si turbava per una minigonna. Bongiorno lascia una lezione di autenticità in un mondo falso e ipocrita, di personaggi costruiti a tavolino. Sembrava un highlander, indistruttibile, senza età. Non era così. Ha vissuto alla grande. Bravo Mike, grazie.
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