Quando si parla di tradizioni ancestrali, metodi di controllo della sessualità femminile e violazione dei diritti basilari delle donne pensiamo sempre che il tema non ci riguardi, son cose di Paesi lontani. Eppure il dossier Il diritto di essere bambine ci aiuta, appena pubblicato, dimostra che un tema drammatico come le mutilazioni genitali femminili investe l’Italia molto più di quanto non si immagini.
Che c’entra questa pratica atroce con il nostro civile ed evoluto Paese? «Nelle culture in cui si pratica la mutilazione genitale femminile, una donna non mutilata non si sposa, è considerata impura, inferiore. Le madri lo ripetono alle figlie perché vogliono che siano inserite nel loro contesto, nella loro comunità, credono insomma di farlo per il loro bene. Per chi emigra in un Paese come l’Italia, la prospettiva cambia totalmente: le bambine, le ragazze, le donne, si ritrovano in una società che invece non lo accetta, in un mondo in cui la pratica va tenuta nascosta», spiega Tiziana Macciò dell’Albero della Vita, la onlus che insieme all’associazione interculturale Nosotras ha realizzato il dossier.
La legge non basta
Dossier che descrive la diffusione di questo fenomeno tra le comunità immigrate in Italia portando un dato ? purtroppo ? innovativo, che registra più “vittime” rispetto a quelle calcolate nel 2009 da una ricerca condotta dal ministero per le Pari Opportunità.
«Siamo partiti dai dati del Miur per poter dare una stima diversa», spiega Macciò, «e non ci siamo limitati ai dati Istat sulle bambine nate in Italia ma originarie di Paesi in cui la pratica dell’infibulazione fa parte delle tradizioni locali. Ci siamo piuttosto concentrati sulle bambine iscritte a scuola, riuscendo così a includere anche il dato delle bambine provenienti da famiglie irregolari».
La scuola come fondamentale cartina di tornasole per avere con dati certi il polso aggiornato del fenomeno. «In Italia c’è un’ottima legge, la n.7/2006», sottolinea Macciò, «che punisce chi torna al proprio Paese per sottoporre le figlie a mutilazione genitale. Ma la legge non basta, perché di fatto deve avvalersi di chi può scoprire tale pratica, oppure di una denuncia. E purtroppo le denunce in Italia sono pochissime». E allora, come incidere preventivamente sul fenomeno? «Considerando che l’età media delle bimbe sottoposte a questa pratica si abbassa sempre di più, è fondamentale lavorare appunto nelle scuole materne, dando in primis agli insegnanti un’apposita formazione sul tema e strumenti per avviare un dialogo con le famiglie d’origine prima che scelgano di compiere la pratica. Prevedendo anche l’intervento di mediatori culturali preparati, per esempio».
Si parte da Firenze
L’Albero della Vita e Nosotras incominceranno la loro campagna di prevenzione con un progetto pilota in una scuola di Firenze, e la estenderanno via via ad altri istituti scolastici della Toscana (le scuole hanno tempo fino al 15 febbraio per aderire). L’obiettivo a lungo termine è stilare un documento di buone prassi da divulgare a livello nazionale, ed estendere il progetto anche alle scuole della Lombardia e delle regioni ad alto tasso di bambine a rischio mutilazione genitale (vedi box).
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