Fiorentino, classe 1966, sposato, con tre figli, per Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica, il non profit è una passione precoce. Volontario dai tempi della cooperativa Mani Tese dove fin da subito si è occupato di progetti nei Paesi del terzo mondo. È stato poi uno degli attivisti per la campagna per la legge 185 del 1990 sulla regolamentazione della produzione e commercializzazione delle armi. Laureato in fisica, tenta la carriera universitaria. Dopo sette anni di precariato, nel 2000 si “converte” al profit (sostenibile) andando a lavorare alla Phisis di Firenze, azienda del settore dell’energia rinnovabile. Intanto diventa presidente di Mani Tese e fonda Banca Etica. Nel 2010 l’elezione a presidente.
Che anno è stato il 2011?
Un anno importante perché abbiamo messo le basi per alcuni cambiamenti volti a cercare di essere più efficienti sul mercato e rispetto alla nostra mission. Siamo passati da 13 direttori a uno, preso dall’esterno, e abbiamo ridisegnato l’organigramma nel tentativo di far sì che gli aspetti socio culturali e di innovazione siano messi alla pari di quelli tipicamente bancari, come il credito, la finanza o il commerciale. Sul versante delle performance nell’anno del credit crunch abbiamo incrementato i crediti del 24% e vantiamo “sofferenze lorde” al di sotto dell’1% contro il 5,5% del settore. La banca inoltre è stata riportata in una zona di utile, con 1,5 milioni di euro, che non è ancora abbastanza ma è comunque un risultato positivo.
Su quali prodotti insisterete quest’anno?
L’ultimo si chiama “Carta Evo”. Una carta che consente di avere un conto a spese bassissime per tutti. Poi c’è il conto “Zero Spese” per i pensionati.
Siete l’unica banca che pubblica on line i dettagli dei vostri impegni. Perché questa scelta?
Per marcare una forte differenza con gli altri istituti. Quando si osa mettere assieme la parola “banca” e la parola “etica” poi si deve dare la possibilità a tutti di valutare quello che si sta facendo. Se il risparmiatore non è in grado di farsi una propria idea di quello che un’azienda fa, si rischia di cadere nel marketing. La speranza è che anche gli istituti di credito attenti a certe tematiche possano prenderne esempio.
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