Giornata mondiale del rifugiato
La mia vita da esule russo in Italia
Alexander Bayanov insieme alla sua famiglia ha lasciato la Russia dopo l'invasione dell'Ucraina. «La prima cosa con cui ti confronti non è la mancanza di conoscenza della lingua o le altre difficoltà quotidiane», racconta. «Ma degli amici ci hanno aiutato e continuano a farlo». Dalla richiesta di soggiorno all'apertura di un conto in banca: «Lo svolgimento delle procedure burocratiche richiede una pazienza enorme e un know-how che ovviamente in pochi possiedono»

Io e la mia famiglia siamo arrivati in Italia quasi tre anni fa. Siamo russi (per la precisione, siberiani) e abbiamo deciso di lasciare il nostro Paese dopo l’aggressione all’Ucraina. Abbiamo potuto entrare in Italia perché avevamo ancora il visto turistico sul passaporto. La prima cosa con cui ti confronti non è la mancanza di conoscenza della lingua o le altre difficoltà quotidiane, che in generale puoi superare grazie all’aiuto degli amici (se ne hai): è il sistema burocratico, completamente sconosciuto, con cui inizi a convivere e contro cui inizi a lottare.
Noi ci troviamo in una situazione privilegiata, perché gli amici ci hanno aiutato e continuano ad aiutarci, accompagnandoci letteralmente per mano negli uffici competenti. Ma lo svolgimento delle procedure burocratiche richiede una pazienza enorme e un know-how che ovviamente in pochi possiedono.
Per esempio, aprire un conto in banca. Non puoi aprirlo se non hai la residenza. Una volta risolto questo problema (che comunque non è cosa da poco, perché chi vorrà mai permettere ad uno straniero di prendere la residenza presso un proprio appartamento, se non ha lavoro e nemmeno un conto in banca?), ne incontri subito un altro: per aprire un conto serve un contratto di lavoro, ma non puoi firmare un contratto con un datore di lavoro se non hai un conto bancario. Un circolo vizioso.
Negli altri istituti bancari commerciali, nonostante le direttive chiarissime dell’Associazione Bancaria Italiana, aprire un conto è praticamente impossibile. E se per caso ci riesci, può succedere come nel mio caso che il servizio di sicurezza della banca ti obbliga a chiudere il conto, anche se si trattava di una delle banche più grandi d’Italia, perché in fondo tu sei un cliente che non interessa alla banca.
Il secondo grande problema è ottenere il permesso di soggiorno. La nostra famiglia lo ha ottenuto per protezione speciale, grazie all’aiuto di un’amica che lavora in una organizzazione non profit di Milano ed ha una grande esperienza e una grande pazienza.
Abbiamo presentato i documenti a gennaio 2023 e siamo riusciti a ottenere il permesso a giugno dello stesso anno. Quest’anno è arrivato il momento del rinnovo: abbiamo presentato tutti i documenti necessari all’inizio di marzo, ma fino ad ora non abbiamo ricevuto alcuna risposta, né dalla questura di Milano, dove abbiamo presentato la domanda all’inizio, né dalla questura di Como, dove viviamo attualmente.
Nel frattempo, l’unico documento in nostro possesso è la cosiddetta “ricevuta”: un foglio con la tua foto e un timbro che certifica il tuo stato di attesa. Questa ricevuta è un documento valido per la polizia, ma sicuramente non può essere utilizzata per firmare un contratto di lavoro o, per tornare a quanto detto sopra, per aprire un conto in banca. E insieme al permesso di soggiorno scade anche la tessera sanitaria, con tutti i problemi che ne conseguono.
Naturalmente io e la mia famiglia siamo molto grati allo Stato italiano per averci dato la possibilità di vivere e lavorare qui. In Russia sono in corso repressioni durissime contro i media indipendenti: io avevo un mio progetto, Tayga.info, un’agenzia di informazione siberiana, che lo Stato russo ha chiuso e successivamente dichiarato “agente straniero”.
E leggendo ogni giorno le notizie dalla Russia, dove quasi quotidianamente qualcuno viene arrestato e condannato a 10, 15 o 20 anni di carcere per post contro la guerra o a favore dell’Ucraina sui social, come se fossero assassini di massa o terroristi, sentiamo ancora di più questa gratitudine.
Ma penso spesso anche a quei rifugiati abbandonati e sfortunati provenienti da altre zone di conflitto, con un diverso colore della pelle o una diversa mentalità, e che ogni giorno, ogni ora, devono letteralmente lottare per la sopravvivenza.
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