Famiglia

La parola ai docenti:I prof non profit le scommesse del futuro prossimo

Da Trento a Palermo, ecco le ricette di sette docenti per rendere l’università più adeguata alle domande che vengono dal sociale.

di Redazione

Qui Palermo. Dialogo aperto con le grandi organizzazioni
Il portale telematico per la comunicazione del terzo settore di Palermo è l?ultima creatura di Stefano Martelli, docente di Tecniche della comunicazione sociale all?università di Palermo. Un esempio di collaborazione tra mondo universitario e terzo settore.
Stefano Martelli: Il portale nasce per sostenere e facilitare le attività comunicative tra le organizzazioni del privato sociale e la società civile. Il forum telematico sui problemi con gli enti locali avviato qualche settimana fa ha avuto centinaia di interventi.
Studium: Dunque funziona il rapporto tra terzo settore e mondo accademico ?
Martelli: A Palermo è sicuramente positivo il dialogo con le grandi organizzazioni. Con quelle piccole, per struttura e risorse, si sta aprendo un canale e il portale è uno strumento che agisce nei due sensi: università e non profit. A livello formativo per il momento solo le organizzazioni strutturate offrono possibilità di stage.
Studium: E com?è l?offerta formativa per chi vuole lavorare nel non profit?
Martelli: Al Sud scarsa.
Studium: E da cosa dipende?
Martelli: Dalla domanda che dipende da molti fattori: cultura e capacità di comunicazione. Attraverso un questionario, nel corso del 2004 abbiamo condotto un?indagine sul livello professionale delle onp del territorio. Ed è emerso che le realtà non profit del nostro territorio sono piccole, poco organizzate. Solo dopo averle accompagnate in questo iter di sviluppo può nascere una domanda.
Studium: Per il Forum del terzo settore c?è un rischio di eccesso di specializzazione nella formazione universitaria. È d?accordo?
Martelli: Noi dobbiamo mettere a fuoco dei concetti che sono promotori di sviluppo. La legge 266/91 è stata proposta da un economista,oggi i sociologi devono far proprio il campo del terzo settore. Devono travasare le loro esperienze in questo campo.

Qui Molise. La specializzazione paga
Ha alle spalle una lunga esperienza di volontariato. Come sociologo ha lavorato nelle fondazioni comunitarie e per i centri servizi. è Fabio Ferrucci che ha partecipato ad una survey nazionale pubblicata nel volume Terzo settore in Italia, culture e pratiche. Oggi insegna Sociologia del terzo settore all?università del Molise.
Studium: In questa regione come sta funzionando l?interazione tra terzo settore e mondo universitario?
Fabio Ferrucci: Nelle regioni del Centro-Nord il fenomeno non profit è sviluppato, nel nostro territorio siamo solo agli inizi. Per il momento il rapporto è scarso. Le ragioni sono diverse, ma soprattutto perché è solo ora che il settore non profit sta crescendo e sta prendendo forme strutturate che permettono e agevolano uno scambio. Ad esempio di tirocini e stage ce ne sono pochissimi.
Studium: Forse ciò è anche dovuto ad uno sbilanciamento verso le discipline economiche di corsi e master ?
Ferrucci: Non so, potrebbe esserci uno squilibrio, ma lo si saprebbe solo monitorando tutte le offerte che in ogni caso dipendono anche dalla domanda dei destinatari stessi.
Studium: Ci aiuti a capire…
Ferrucci: Ad esempio nel non profit i corsi tendono a rispondere ad esigenze specifiche dettate dalle stesse organizzazioni. Si chiedono professionalità ben determinate, come ad esempio il fund raiser. Ciò però comporta una notevole specializzazione e frammentazione dei profili.
Studium: Come definirebbe l?offerta formativa universitaria nel settore non profit?
Ferrucci: Prolifica. Dunque nella scelta chi da anni fa ricerca in questo settore è sicuramente da preferire. E poi riflessiva. I soggetti del non profit spesso importano categorie da altri settori, si riflettono cioè in concetti esistenti per altri campi. La sfida è avere una propria identità.

Qui Trento. Lo stage dà frutti
Fabio Folgheraiter insegna Metodologia del servizio sociale all?università di Trento, nel corso di laurea per assistenti sociali. Una figura che ha trovato molto spazio nel welfare privato e che in questi anni si è sempre più professionalizzata, grazie proprio anche a corsi di livello universitario.
Studium: Come giudica l?offerta formativa nel settore non profit?
Fabio Folgheraiter: Chi organizza corsi e master deve capire cosa vuol dire agire socialmente nei problemi del singolo come in quelli della collettività. Chiarita la mission, queste figure sono capaci di lavorare anche in maniera coordinata, di fare rete.
Studium: L?università può aiutare in questo cammino?
Folgheraiter: Deve. Oggi si fa formazione in aree separate anche per logiche accademiche. Tuttavia anche dalla ricerca presentata oggi si evince che gli attori del non profit non sono capaci di cogliere il carattere legato all?agire nel non profit. è quindi necessario procedere a un lavoro culturale per rendere efficace l?agire nel terzo settore.
Studium: Dunque lei è d?accordo con chi avverte uno sbilanciamento verso il tecnicismo e le discipline economiche?
Folgheraiter: Si deve lavorare per far crescere una cultura delle professioni sociali. Gli aspetti tecnici sono fondamentali, però i manager devono capire in che cosa consiste il lavoro sociale, che significa soprattutto entrare in relazione con le persone.
Studium: Stage e tirocini aiutano?
Folgheraiter: In Trentino questo scambio c?è e funziona. Lo stage permette di assorbire la cultura che c?è nei servizi. Questo scambio è produttivo non solo per gli studenti ma anche per gli enti che ricevono stimoli nuovi.

Qui Bologna/1. Schiacciati dallo Stato e dal mercato
Dalla sua cattedra di Sociologia all?università di Bologna, Pierpaolo Donati da anni si batte perché il privato sociale smetta di esser considerato un vaso di coccio fra i due schiacciasassi dell?economia capitalistica e dello statalismo.
Studium: L?università è in grado di dare un contributo per vincere questa sfida?
Pierpaolo Donati: Siamo ancora all?anno zero. Anche nel nostro mondo sono pochi gli studiosi che si dedicano a queste tematiche. Il terzo settore è vissuto come un residuo, rispetto allo strapotere del mercato globale e del settore pubblico. L?università non ha ancora compreso l?importanza del privato sociale.
Studium: Però l?offerta formativa da alcuni anni vive una stagione di grande crescita. Un dato che è in controtendenza rispetto alla sua tesi.
Donati: Questo è vero solo sul versante dei master, che però rischiano di professionalizzare eccessivamente studenti a cui poi nel mondo del lavoro viene richiesta maggiore flessibilità. Continuiamo invece ad essere carenti sul terreno della formazione di primo livello. E infatti le lauree triennali si contano sulle dita di una mano. Così a caldo mi vengono in mente solo la Cattolica di Milano, Bologna-Forlì e Trento. E non penso di essermene scordate molte.
Studium: Come valuta la relazione fra università e mondo del lavoro?
Donati: Questa è l?altra faccia della medaglia della stessa questione. Se escludiamo le cooperative, in tutti gli altri settori del privato sociale, fondazioni in testa, per ottenere uno stage occorre elemosinarlo. È paradossale, lo so, ma la realtà è questa.
Studium: Come se ne esce?
Donati: Torniamo al punto di partenza. Lo snodo è culturale. Superare il punto di vista economico sarebbe un primo passo. Per fare un esempio: l?economia concepisce il terzo settore come utile perché solleva i lavoratori dagli impegni che possono dare loro la cura degli anziani o dei bambini. Fino ad oggi l?università ha contribuito ad affermare questa forma mentis.

Qui Milano. Basta usare termini residuali
Lucia Boccacin, sociologa dell?università Cattolica di Milano, ritiene che il compito dei professori che si occupano di terzo settore «non consista tanto nell?insegnare un particolare modo di essere volontariato o cooperativa sociale, ma nel veicolare un nuovo modello culturale, che valorizzi determinate sensibilità».
Studium: Nel concreto questo che cosa significa?
Lucia Boccacin: Io parto dall?assunto che il sistema Italia abbia necessità di affermare la centralità del terzo settore. Una prima possibilità viene considerata quella di formare manager o fund raiser ad hoc per il privato sociale. Ecco, io credo che questa sia una strada perdente.
Studium: Quindi?
Boccacin: Dobbiamo rovesciare la prospettiva. Ovvero insegnare la responsabilità sociale e l?etica sociale anche a chi poi andrà a lavorare in una società profit.
Studium: In questo senso qual è il ruolo degli stage?
Boccacin: Potrebbe essere cruciale. Purtroppo però il mondo del lavoro è ancora eccessivamente autoreferenziale. Prima di fare un pezzo di strada insieme bisogna incominciare a parlarsi.
Studium: Che importanza ha la formazione economica in questo settore?
Boccacin: Rilevante. Per questo mi batto perché il terzo settore dimentichi il termine residuale di non profit. Formula perdente e obsoleta. Molto meglio chiamarci privato sociale.

Qui Verona. Attenti all?abuso di master
Paola Di Nicola insegna Scienze dell?educazione all?università di Verona. E nel panorama italiano è una dei massimi studiosi dell?associazionismo familiare.
Studium: Università e terzo settore, a che punto siamo?
Paola Di Nicola: Purtroppo in sede di programmazione didattica per lo più si identifica il terzo settore con il volontariato. Agli occhi meno attenti l?economia sociale pare traballante e soprattutto eccessivamente dipendente dal settore pubblico.
Studium: Quali conseguenze comporta questo approccio?
Di Nicola: Succede che l?università limita la sua offerta ai master, che sono contenitori meno onerosi e più facilmente modificabili in corso d?opera. Ma anche meno impostati rispetto a una laurea triennale.
Studium: Lei lavora a Verona. Come sta funzionando l?integrazione fra mondo professionale e università?
Di Nicola: Su 400 enti convenzionati, più della metà sono enti di terzo settore, soprattutto associazioni e cooperative. Ritengo che la mia esperienza in questo senso sia davvero positiva. Molti dei nostri ragazzi dopo il tirocinio riescono a trovare un?occupazione.
Studium: Anche se non sono laureati in una materia economica?
Di Nicola: Certo. E non si deve stupire. È vero che la definizione di ?economia sociale? ha messo le ali ai piedi del terzo settore. Ma così rischiamo di venir bollati come un settore economico debole e protetto.

Qui Bologna/2. Il non profit non si fa ascoltare
Ivo Colozzi ha curato insieme al collega Pierpaolo Donati il volume Terzo settore in Italia, culture e pratiche presentato al convegno dell?università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Docente di sociologia alla facoltà di Scienze politiche all?università di Bologna, è stato assistente di Achille Ardigò che nel 1976 pubblicò a livello universitario il primo articolo sull?impatto del volontariato sulla società.
Studium: Dopo trent?anni la formazione universitaria in non profit com?è?
Ivo Colozzi: C?è un eccesso di aziendalismo che sta portando a un?ulteriore divaricazione tra valori, norme e strumenti. Manca un bilanciamento tra comportamenti sociali ed economici. Con ciò non si vuol dire che non sia importante migliorare le capacità strumentali, le risorse dell?organizzazione, ma i mezzi devono essere congruenti con la cultura sociale.
Studium: Qualcuno parla anche di eccesso di specializzazione ..
Colozzi: è vero, perché vige la logica dell?università in cui l?offerta formativa viene frammentata. Il terzo settore per funzionare ha bisogno di formazione meno specialistica. Altrimenti agisce come quel dottore bravissimo a curare la mano, ma ignorante del resto del corpo. L?università deve avere più libertà nel pensare percorsi didattici meno economici.
Studium: Le sembra che mondo universitario e terzo settore comunichino fra loro?
Colozzi: Il problema è quanto il non profit riesca a farsi ascoltare dall?università. In assenza di supporti tecnici una certa resistenza, e mi riferisco in particolare alla scarsa offerta di stage e tirocini da parte delle organizzazioni non profit, è comprensibile.

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