Welfare

La riconciliazionebnel nome di Tito

Ha fondato il ramo locale della ong Gariwo e scritto un blibro per raccontare le storie dei "giusti" della guerra nei Balcani: b«Il primo obiettivo è dare coscienza civile ai giovani»

di Redazione

B alcani, inizio anni 90. Marija, cattolica croata, nasconde in casa e salva da morte certa la musulmana bosniaca Radmila. Il soldato 18enne Ljubisa, serbo ortodosso, finisce nelle mani dei bosniaci ma viene risparmiato grazie a un coetaneo dell’esercito nemico. Ancora, Zora, nonna 80enne, unica rimasta nel villaggio attaccato, che accoglie i soldati nemici e li convince a non saccheggiare le case vuote. Storie incredibili, che sarebbero rimaste nascoste se non fosse stato per l’opera di Svetlana Broz, 53 anni, nipote diretta del celeberrimo maresciallo Josip Broz, detto Tito. Testimonianze dirette che la donna, ex medico, oggi direttrice di Gariwo, ong che promuove la nonviolenza in scuole e università, ha raccolto in un libro – il cui titolo italiano è I giusti nel tempo del male (Erickson 2008) – destinato a diventare un classico della letteratura di guerra.
Vita: Quando ha deciso di scrivere il libro?
Svetlana Broz: Era il 1996, la guerra civile nella ex Jugoslavia era terminata l’anno prima. Ho incominciato a raccogliere storie di persone che salvavano la vita a persone dell’altro fronte: in un anno almeno cento storie. Ma poi ho dovuto rifare tutto da capo. Qualcuno è entrato in casa mia e ha rubato tutti gli appunti e i nastri delle interviste. Qualcuno che non voleva che questo libro uscisse. Allora non mi sono persa d’animo, sono ripartita e ho incontrato altri cento “giusti”. Non gli stessi della prima volta: non volevo aprire per la seconda volta le loro ferite che si stavano rimarginando. Nel 1999 l’edizione in serbo-croato del libro era pronta. Poi sono arrivate le altre edizioni, oggi disponibili in otto lingue: inglese, spagnolo, ceco, polacco, francese e, da quest’anno, italiano.
Vita: Come è stata accolta la sua opera?
Broz: Fuori dai Balcani è stata apprezzata da subito e oggi è un testo adottato in 50 università statunitensi, Harvard compresa. Nella ex Jugoslavia, ogni Paese fa storia a sé. In Bosnia la condivisione delle sofferenze e il fatto di trovare storie simili alle proprie ha permesso di trovare nel libro un importante riferimento. In Serbia, invece, c’è stata la reazione opposta, ovvero molta resistenza: ancora oggi la maggior parte dei serbi nega le atrocità commesse, compreso il genocidio di Srebrenica. In nove anni sono riuscita a presentare il libro una volta sola, a Novi Sad. A Belgrado la demassificazione delle coscienze è molto più lenta di quella della Germania del dopoguerra.
Vita: Quanto pesa l’eredità del nonno Tito nel suo impegno sociale?
Broz: Ho imparato, nel tempo, a filtrare alcuni suoi ideali, e a prendere spunto dalle occasioni in cui ha mostrato del coraggio civile. So che il mio nome è ingombrante: ricevo minacce, ma ho preso la decisione di uscire allo scoperto, e non devo quindi tirarmi indietro. In tutto questo, la mia vocazione non è la politica, piuttosto il mio riferimento è la società civile. Per questo, nel 1999, quando da Belgrado mi sono trasferita a Sarajevo, ho lasciato la professione di cardiologo, che oggi pratico come impegno volontario per persone nullatenenti, e ho creato il ramo bosniaco dell’ong italiana Gariwo, il cui scopo principale è educare al coraggio civile la popolazione.
Vita: In che modo?
Broz: Puntando sui giovani: sono vittime innocenti delle guerre dei loro padri, e sono gli unici che possono portare a un vero rinnovamento sociale. In questi anni abbiamo tenuto laboratori con almeno 35mila studenti tra i 15 e 25 anni, in 80 cittadine di Bosnia-Erzegovina e Repubblica Serbska. In 5mila hanno aderito a Gariwo, hanno fondato tre piccole ong locali e pubblicato almeno dieci testi su coraggio civile e nonviolenza.

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