Famiglia
La salute di donne e bambini in Italia e nel mondo
A fotografare la situazione due rapporti presentati oggi da Save the children: il nono "Rapporto sullo stato delle Madri nel mondo" e lo "Studio sulla salute materno infantile nelle comunità Rom. I
di Redazione
L?Italia è prima di 146 paesi nella classifica del benessere dei bambini e diciannovesima per quello delle mamme. Ma l?accesso alle cure sanitarie non è uguale per tutte le donne: il 70 per cento delle madri rom a Roma dichiara di non accedere alle prestazioni sanitarie garantite dal servizio sanitario nazionale. A scattare una fotografia sono due rapporti di Save the children, presentati oggi a Roma durante un convegno su ?Il benessere e la salute delle mamme in Italia e nel mondo?.
Sono i paesi scandinavi, con la Svezia al primo posto, seguita da Norvegia e Islanda, le nazioni che possono vantare parametri d?eccellenza attinenti alla salute, l?educazione e la condizione economica di madri e bambini. Quelli in cui le madri stanno peggio sono le nazioni dell?Africa Sub-sahariana, con il Niger all?ultimo posto, che si conferma come il luogo peggiore dove una mamma possa vivere.
L?Italia è al 19° posto nella classifica delle madri e al 1° nell?elenco dei paesi in cui i bambini stanno meglio.
Questa la fotografia che emerge dal nono Rapporto sullo Stato delle Madri nel Mondo, la pubblicazione annuale di Save the Children sulla salute materno-infantile in numerosi paesi del mondo, che prende in esame alcuni indicatori che vanno dall?indice di mortalità infantile alla scolarizzazione, all?aspettativa di vita alla nascita, piuttosto che l?uso della contraccezione, la partecipazione delle donne alla vita politica o la loro capacità di avere un reddito.
?Secondo Save the Children, la qualità di vita di un bambino dipende dalla salute, dalla sicurezza e dal benessere della propria madre ? afferma Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia -. Solo assicurando alle donne educazione, benessere economico e possibilità di accedere ai servizi e alle cure sanitarie, sia quelle donne che i loro figli avranno maggiori possibilità di sopravvivere e crescere sani.?
L?Indice delle Madri: i primi e gli ultimi paesi
Il gap che emerge tra i paesi in cima e quelli in fondo alla lista è stridente. Mentre in Svezia ogni parto avviene con l?assistenza di personale medico, in Niger solo il 33% dei parti è assistito. Il 72% delle donne svedesi usa i contraccettivi, dedica alla propria istruzione una media di 17 anni, ha un?aspettativa di vita di 83 anni e solo una donna su 185 rischia di perdere il proprio figlio prima che compia cinque anni. Al contrario, in Niger, solo il 4% della popolazione femminile usa la contraccezione, una donna va a scuola in media per 3 anni, ha un?aspettativa di vita di 45 anni e, considerando che 1 bambino su 4 muore prima di aver raggiunto i cinque anni, ciò implica che quasi ogni donna rischia di veder morire suo figlio e 9 madri su 10 addirittura perdono ben due bimbi nel corso della propria vita.
Le ultime dieci posizioni sono occupate da Niger, Ciad, Yemen, Sierra Leone, Angola, Guinea-Bissau, Eritrea, Djibuti ed Etiopia (vedi tabella 1), tutti paesi in cui le condizioni di vita delle mamme e dei loro bambini sono estremamente difficili: i due terzi dei parti avvengono senza assistenza specializzata, una madre su 21 rischia la vita per cause correlate alla gravidanza, ogni donna in media rischia di perdere un figlio almeno una volta nella vita , 1 bambino su 6 muore prima di aver compiuto 5 anni e 1 su 3 soffre di malnutrizione. Inoltre, 1 bambino su 3 non frequenta la scuola primaria, il rapporto tra bambine e bambini iscritti a scuola è di 3 a 4, in media le bambine riescono a malapena a frequentare 5 anni di scuola. Inoltre c?è una forte disparità tra il reddito di una donna e quello di un uomo.
L?accesso ai servizi sanitari di base: 200 milioni di bambini senza cure
Quest?anno il Rapporto sullo Stato delle Madri nel Mondo ha come suo focus l?accesso dei bambini alle cure di base, intendendo per queste ultime l?assistenza prenatale, quella durante il parto, le vaccinazioni e le cure per diarrea e polmonite. Attualmente, 200 milioni di bambini non hanno accesso ad alcuna cura di base e 26.000 bambini con meno di cinque anni muoiono ogni giorno, per un totale di quasi 10 milioni all?anno.
Analizzando 55 paesi in via di sviluppo, che da soli rappresentano il 60% dei bambini al di sotto dei 5 anni del mondo e l?83% delle morti infantili, quelli che stanno compiendo i più grandi progressi per garantire l?accesso alle cure di base a tutti i bambini sono Filippine, Perù, Sud Africa e Indonesia. La maglia nera, invece, spetta all?Etiopia, ultima della lista, e preceduta da Somalia, Ciad, Yemen e dalla minoranza Lao della Repubblica Democratica del Congo.
In questi paesi, c?è una forte differenza tra i bambini più poveri e quelli più ricchi: in Mali e Nigeria, ad esempio, i bambini più indigenti rischiano 2,5 volte in più rispetto a quelli benestanti di non ricevere le cure necessarie, mentre in India e Indonesia i primi rischiano di morire tre volte in più rispetto ai secondi. senza raggiungere i cinque anni.
«Con interventi semplici e a basso costo, che prevengano le principali cause della mortalità infantile, si potrebbero salvare le vite di 6 milioni di bambini all?anno, pari a circa 3 volte la popolazione di una città come Milano» sottolinea Save the children. «Riuscire a farlo solo in India e Nigeria, significherebbe prevenire il 20% di tutte le morti infantili. L?allattamento materno, ad esempio non serve solo per nutrire ma aiuta a rafforzare le difese immunitarie del bambino nei confronti delle comuni malattie infantili. Per evitare che molti bambini muoiano a causa della disidratazione provocata la diarrea basterebbe una semplice terapia per la reidratazione orale, così come gli antibiotici possono combattere la polmonite e l?utilizzo congiunto di zanzariere e insetticida contribuisce ad evitare il contagio da malaria».
Madri e figli: la situazione in Italia
Per quanto riguarda il nostro Paese, considerando i tre parametri che servono a valutare il solo benessere infantile (tasso di mortalità sotto i 5 anni; tasso di iscrizione alla scuola materna; tasso di iscrizione alla scuola superiore), l’Italia si posiziona al primo posto, seguita da Germania, Francia e Svezia.
In particolare, nel nostro paese, nel 2006, la mortalità infantile ha registrato uno dei valori più bassi in assoluto – 4 morti su 1000 nati – mentre il tasso di iscrizione alla materna e alla scuola superiore si attestavano, rispettivamente, al 104% e al 99%. Rispetto allo scorso anno in cui l?Italia già deteneva la vetta della classifica, gli indici si sono mantenuti stabili, con un lieve miglioramento per quanto riguarda il tasso d?iscrizione alla scuola materna, passato dal 103% al 104%.
All?interno dell?indice delle madri, invece, l?Italia è al 19° posto: è analizzando i parametri relativi alla salute e benessere delle mamme, alla parità di genere e alla tutela della maternità, che emergono differenze e distanza fra l’Italia e i paesi che hanno guadagnato la testa della classifica. In particolare, confrontando la condizione delle mamme e donne italiane, con quella delle mamme e donne svedesi, le distanze maggiori si registrano rispetto alla salute, al ricorso alla contraccezione, alla partecipazione al governo nazionale, alle differenze di reddito con l’uomo. In Italia è il 39% delle donne che fa uso di contraccettivi a fronte del 72% delle donne svedesi. Le donne italiane percepiscono uno stipendio pari al 47% rispetto a quello dell’uomo mentre le svedesi hanno un salario di poco inferiore (pari all?81%) a quello maschile.
Per quanto riguarda i benefici per la maternità, una donna italiana in maternità prende l’80% del suo stipendio ordinario, mentre una svedese percepisce lo stipendio pieno. Nel 2008 la partecipazione delle donne italiane al governo del paese è del 17% (questa la percentuale di posti occupati da donne) contro il 47% in Svezia.
L?evidenza che emerge analizzando i dati relativi all?Italia è che nel nostro paese esista una buona tutela per la salute e l?istruzione infantile, ma altrettanto nettamente affiora una sostanziale disparità di genere, che fa sì che il nostro paese si posizioni dietro a nazioni come Slovacchia, Grecia ed Estonia e appena prima di Portogallo, Lituana e Lettonia. Basti pensare che la percentuale di donne che in Italia utilizzano la contraccezione è uguale a quella del Botwana (39%), il rapporto tra reddito femminile e maschile è pari a quello del Benin (0,47), e infine la partecipazione delle donne alla vita politica (17%) corrisponde a quella della Bolivia, Gabon e Nepal.
Roma: il 70 donne rom non accede alle cure sanitarie
Il 70% delle donne rom dichiara di non accedere alle prestazioni sanitarie garantite dal Servizio Sanitario Nazionale. A rivelarlo è lo ?Studio sulla salute materno infantile nelle comunità Rom. Il caso di Roma?.
Sono almeno 7.850 i Rom presenti a Roma secondo le più recenti stime: per la gran parte si tratta di donne e bambini . Le donne diventano mamme giovanissime e, con i loro bambini, sfuggono alle statistiche ufficiali.
Dallo studio, frutto di interviste a donne Rom che vivono in alcuni insediamenti, attrezzati e non, della capitale , emerge un inadeguato e insufficiente accesso alle cure sanitarie. Il 70% delle donne rom dichiara di non accedere alle prestazioni sanitarie garantite dal Servizio Sanitario Nazionale.
Le motivazioni sono le più varie e vanno dallo status legale alla mancanza d’informazione del diritto ove esistente, o ancora alla cattiva percezione delle modalità di accesso.
«Una recente circolare del ministero della Salute recepita anche dalla regione Lazio, insieme a Piemonte, Marche e Campania, ha sanato una assurda situazione legislativa in base alla quale fino al febbraio scorso ? data a cui risale anche la nostra rilevazione a Roma – le donne neocomunitarie, e quindi anche molte donne Rom che appartengono a questo gruppo, non avevano più diritto alle prestazioni sanitarie indifferibili e d’urgenza come invece riconosciuto agli stranieri presenti in Italia senza permesso di soggiorno o senza lavoro» afferma Laura Lagi, Operatrice dell’area diritto alla sviluppo di Save the Children Italia . «Adesso, grazie al recepimento da parte della regione Lazio della circolare ministeriale, la situazione è cambiata. Tuttavia, non bastano dei correttivi legislativi per rendere effettivo il diritto alla salute. E’ necessario infatti che le donne Rom siano rese consapevoli di tale diritto anche attraverso una corretta, ampia e chiara informazione sulle opportunità che il servizio sanitario offre loro e ai rispettivi figli, sia a livello di cura, che di prevenzione, come già si sta tentando di fare con alcune campagne».
Il basso livello di prevenzione, è un ulteriore aspetto critico rilevato dallo studio di Save the Children, secondo il quale 2 donne su 3, fra le intervistate, non si sottopongono annualmente a visite ginecologiche, il 18% non ha eseguito nessun controllo in gravidanza, solo il 27% ricorre al consultorio e appena il 20% utilizza metodi contraccettivi a fronte del 39% delle donne italiane.
Scarso risulta essere anche il ricorso al pediatra per visite e controlli dei bambini: Poco più del 50% del campione ha detto di aver portato il proprio figlio dal medico nei primi anni di vita anche se la quasi totalità delle madri intervistate dichiara di aver partorito in ospedale e di aver vaccinato l’ultimo figlio.
Il contesto socio-culturale nel quale vivono le donne Rom contattate da Save the Children, risulta generalmente molto disagiato, soprattutto per quanto riguarda la condizione abitativa: 3 donne su 4 dichiarano di aver vissuto per diversi anni in situazioni estremamente difficili all’interno di insediamenti abusivi mentre oggi vivono in campi attrezzati ai margini della città, in container, in bungalow o stanze in muratura; il 21% delle intervistate non ha l’acqua potabile in casa; il 34% condivide il proprio spazio abitativo con più di 7 persone.
Questa situazione incide negativamente sull’accesso all’istruzione e al lavoro. Al di sotto della media è infatti il livello di scolarizzazione di queste donne: il 14% delle intervistate risulta analfabeta e circa il 55% ha studiato al massimo per 5 anni. Molto scarso poi è l’accesso al mercato del lavoro: solo 17 donne dichiarano di lavorare mentre la maggior parte ammette di essere dipendente economicamente dal marito
Il problema della completa tutela del diritto alla salute materno infantile per le minoranze etniche, in particolare Rom, emerge in vari paesi europei, come ad esempio Romania, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia.
Sulla base di quanto emerso in questo studio e alla propria esperienza in ambito internazionale, Save the Children raccomanda:
– la promozione da parte del Governo di iniziative e politiche volte a:
garantire l’accesso di tutte le donne Rom alle cure sanitarie di base, di urgenza e preventive; incoraggiare l’istruzione delle donne rom e la formazione per favorire l’occupazione; assicurare una maggiore informazione sulla salute e sull’offerta sanitaria; garantire condizioni abitative adeguate alla tutela della salute loro e dei loro bambini;
– l’applicazione da parte di tutte le Regioni italiane della circolare del 19 febbraio 2008 con cui il Ministero della Salute richiama il diritto alle prestazioni indifferibili ed urgenti per i cittadini comunitari, rimandando alle Regioni la regolamentazione delle procedure che garantiscano tali tutele;
– la raccolta e pubblicazione dei dati statistici sulla popolazione Rom.
Save the Children ha messo online la Lista dei Desideri (www.desideri.savethechildren.it) attraverso la quale è possibile acquistare doni etici che andranno a sostenere i progetti di Save the Children nel mondo.
Scarica le versioni integrali:
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