Se per i fiori di montagna l’interesse è alto – anche per i problemi che i cambiamenti climatici stanno inferendo all’ambiente del “mazzolin di fiori”- per la flora dei campi l’atteggiamento generale è quaai sempre di disitima se non addirittura di ostilità. Queste piante che da almeno 10.000 anni accompagnano i lavori agricoli decorando i coltivi con le loro corolle multicolori, sono in genere gratificate da appellativi ingenerosi: “malerbe”, “erbacce”, “infestanti”, “avventizie”. E contro di esse si mobilitano campagne di venefiche irrorazioni di erbicidi di cui il nostro Paese è il maggior utiilizzatore in Europa.
Così i fiori del “Campo di papaveri ” di Monet, che Gregorovius definì “gli stendardi purpurei del dio trionfante della Primavera”, il fiordaliso che D’Annunzio chiamava“ciano cilestre” e i tanti fiori che compaiono nella “Primavera” del Botticelli, sono ormai relegati lungo le banchine stradali, le massicciate ferroviarie e le scarpate incolte. Questo almeno nei luoghi dove le colture industriali non ne hanno annichilito il fascino e cancellato il ricordo. Quasi ovunque, specie magnifiche come lo specchio di Venere, il gladiolo selvaggio, la nigella damascena, l’adonide scarlatta, il roseo gittaione e la speronella violetta sono ormai svaniti.
Eppure, come spiegano gli ecologi agrari più sensibili, la scomparsa definitiva delle specie messicole, cioè proprie delle messi, danneggia alla lunga pure i raccolti. La presenza di fiori selvatici sui bordi dei coltivi o su speciali wildflower strips, favorisce, oltre alla biodiversià naturale, la salute biologica e la sostenibilità dell’agroecosistema. Bombi e api, farfalle notturne e diurne esplicano infatti la loro azione impollinatrice e aricchiscono, pregio non marginale, la bellezza dei coltivi.
Nei luoghi ove si pratica l’agricoltura biologica senza sostanze chimiche di sintesi, i fiori spontanei vengono rispettati e l’eventuale eccesso di piante invasive si controlla – oltre che con rotazioni culturali con foraggere come l’erba medica – mediante erpici strigliatori che raggiungono il risultato senza il ricorso a diserbanti, per il più diffuso dei quali l’Agenzia per la Ricerca sul Cancro dell’OMS ha dichiarato recentemente il “probabile effetto cancerogeno”.
Infine, ogni azione tesa a preservare e, se occorre, ricostituire la biodiversità naturale (oltre che piantando siepi e creando stagni) seminando le specie messicole più rare, dovrebbe essere, nell’anno in cui l’EXPO porta alla ribalta i temi dell’agricoltura sostenibile, un esigenza da non trascurare.
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