Mondo
La scuola bi-popolo
Si chiama Hand in hand, ha tre sedi e cresce al ritmo del 20% ogni anno. Qui si imparano due lingue, ci sono doppie festività (di Andrea Valesini).
di Redazione

Le lezioni vengono sospese il tempo di dare il benvenuto all?ospite. «Fate conoscere la nostra esperienza, convivere si può», è il messaggio che potrebbe fare da didascalia ai tanti sguardi. Hand in Hand, mano nella mano, è una scuola speciale: è la sola in Israele ad accogliere allievi ebrei e arabi (musulmani e cristiani) insieme. Qui, nella sede di Gerusalemme – materna ed elementari – sono iscritti 250 bambini. L?istituto prende il nome dal Centro educativo arabo-ebraico che nel 1997 ha avviato l?esperimento. è pubblico e non profit: riconosciuto dal ministero dell?Educazione israeliano, vive grazie alle rette degli iscritti e a sovvenzioni che arrivano da municipalità locali, da privati e da gruppi di diversi Paesi (in particolare dagli Usa).
L?ingresso all?edificio è protetto da un?impenetrabile cancellata e da un addetto alla sicurezza, visto che tempo fa un kamikaze palestinese si è fatto saltare in aria non lontano da qui. «All?inizio nessuno ci ha detto bravi», dice Amin Khalaf, cofondatore e direttore dell?istituto, «ma abbiamo smosso le acque ed era quello che volevamo: ora gli estranei guardano alla nostra realtà con curiosità, ci domandano come facciamo a mettere insieme allievi di appartenenze diverse. E le iscrizioni crescono. Diverse comunità in Israele ci chiedono l?apertura di scuole come la nostra nelle loro aree».
Oggi la scuola ha tre sedi: a Gerusalemme, a Misgav, in Galilea (170 iscritti), e a Wadi Ara (inaugurata nel settembre 2004). Piccoli numeri, ma con un tasso d?incremento degli scolari del 20% l?anno. Così il centro cerca nuovi fondi per continuare a svilupparsi, avviando il ciclo d?istruzione secondaria. Nei programmi c?è anche un?altra sede a Gerusalemme. «In Israele», spiega Khalaf, «i giovani studiano in scuole separate e in sostanza vige un sistema di segregazione, anche se non codificato. I bambini arabi ed ebrei sono sottoposti a sistemi scolastici differenti e senza la possibilità di frequentare la stessa classe. Parlano lingue diverse, hanno culture diverse, seguono religioni e festività diverse. Ma vivono nello stesso Stato. Ma se non ci si parla, se non ci si conosce, prevalgono la diffidenza reciproca e la paura». Nelle classi miste di Hand in Hand i bambini imparano a parlare, leggere e scrivere sia in ebraico sia in arabo. Ogni classe ha due insegnanti, ebrea e araba, che lavorano insieme. Anche il personale amministrativo è bilingue. Noa Weiss-Simon, ebrea, 10 anni, mostra con orgoglio il suo sussidiario bilingue: «Alcuni conoscenti», dice, «mi avvisano di stare attenta, di non fidarmi dei miei compagni. Ma io qui sto benissimo, i problemi sono fuori».
Nei programmi la storia del conflitto israelo-palestinese ha ovviamente risalto. E non è una storia di parte. «Per quanto possibile», dice il direttore, «cerchiamo di mettere in risalto le diverse facce degli eventi. Mettiamo tutti i dati sul tavolo e ne parliamo. Ad esempio, ai nostri allievi spieghiamo come la data che Israele considera una festa (il 14 maggio: in quel giorno nel 1948 fu proclamato lo Stato ebraico, ndr) per gli arabi è la nakbah, la catastrofe: in migliaia persero casa e terra». La scuola rispetta le feste ebraiche, musulmane e cristiane. «I giorni di chiusura che perdiamo», conclude Amin Khalaf, «li recuperiamo a fine anno: abbiamo un calendario dilatato. Ma questa impostazione aiuta a rafforzare le identità religiose, a non dimenticare chi si è, l?appartenenza».
Andrea Valesini
da Gerusalemme
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