Non profit

La sfida di Bregantini: al Sud serve un Carroccio

Intervento dell'arcivescovo di Campobasso-Bojano

di Redazione

La Lega «si è dimenticata la reciprocità, ma è stata in grado di restituire una tipicità e un’identità ai suoi territori».
Una intuizione che va presa ad esempio Il Sud è pieno di ferite, ma non è per questo piegato da esse. La forza che dobbiamo avere non è di dimenticare le ferite, non di chiuderle artificiosamente. Metterci una pietra sopra, non serve a niente. Si devono trasformare in occasioni di grazia. Da ferite a feritoie. Non aver paura delle ferite, né sociali né personali. Mai vergognarsene e mai chiuderle artificiosamente. Trasformare la fragilità del Sud in occasione di ricchezza e in positività. «La terra senza il cielo è fango, la terra con il cielo diventa giardino», lo dico sempre ai giovani. Il Sud è un giardino, a noi tocca custodirlo come un giardino. Dare questo segno è diverso da dire «fai il tuo dovere». Senza escatologia non c’è ecologia. Tutto l’impegno dei ragazzi di oggi, per stili di vita sobri, la battaglia dell’acqua, sono indispensabili ma non bastano se non hai il cielo nel cuore. Anche al Sud, come fai a resistere davanti alla mafia? Prima o poi molli o ti adegui. Se invece hai dentro un forte richiamo al cielo, cambi anche la terra e la rendi giardino.

La forza del Carroccio
Conoscere la marginalità del Sud. Non è una parola cattiva, occorre riconoscere che esistono zone marginali. Non solo al Sud, pensate a una qualsiasi periferia. Se non coltivo la marginalità, da elemento caratterizzante diventa negativo, si trasforma in emarginazione. Dobbiamo trasformarla in tipicità. Occorre allargarla e renderla capace di incontrare le altre capacità e questo rapporto si chiama reciprocità. È paritaria dignità per chi dà e per chi riceve. Chi lo ha fatto al Nord in maniera mirabile? Ad esempio la Lega: la sua grande forza sta nell’aver dato tipicità alle cose, aver dato loro identità. L’intuizione è positiva ma la debolezza del sistema è che ha esasperato talmente tanto la tipicità da dimenticare la reciprocità. Il Sud invece sa poco valorizzare ciò che ha. È piagnone, autocommiserante, trova scuse per giustificare il proprio carente impegno. Pensate agli investimenti che arrivano dall’Europa quanto poco sono utilizzati. Se la sussidiarietà senza solidarietà scade nel particolarismo, ecco la Lega. Altrettanto vero è che la solidarietà senza sussidiarietà scade nell’assistenzialismo. E qui sta il Sud. La parola che diventa forte è il federalismo. Quali sono le condizioni per un federalismo giusto? Sarà vero federalismo se saprà essere capace di stimolare il Sud, custodire i bisogni del Nord, costruire tra Nord e Sud un clima di insieme positivo.

La Fiat e il sindacato
Qual è in questo momento il grande rischio? Che il Nord, avendo i problemi che in passato non aveva, sarà sempre più dimenticato. Il timore è anche che il Sud non sia più un tema rilevante perché il Nord dice: «Abbiamo già i nostri problemi, arrangiatevi». Ai primi bagliori della crisi a Biella il vescovo mi disse: «Vieni qui e aiutaci a capire come si vive in precarietà». Il Sud può insegnare.
Su Pomigliano sono convintissimo che la scelta che la Fiat ha fatto di continuare a investire lì sia una decisione sacrosanta. Se andasse via da Pomigliano, se si lasciasse intimorire da qualcuno, sarebbero guai. A Melfi è più complicato, è una questione che riguarda la dignità. Io ho preso posizione basandomi sempre sulla Caritas in veritate, quando dice «il lavoro deve essere decente». Dobbiamo ridire queste cose, anche se è difficile attuarle in pienezza. Guai se ci facciamo fregare dalla precarietà. Dobbiamo evangelizzare la precarietà. La sfida è questa.
Sono venuti da me due alti dirigenti della Fiat a dirmi: «Caro vescovo, cosa fai?». C’è stato un dibattito molto serrato e molto leale, ma io ho detto: «Dobbiamo cogliere il fatto che i lavoratori vivono la precarietà, la Fiat non può solo guardare i bilanci». Ma ho anche citato il brano della Caritas in veritate in cui si dice che «è urgente l’esigenza che le organizzazioni sindacali dei lavoratori si aprano alle nuove prospettive». Cioè, anche il sindacato deve cambiare, non può più essere difensivo, particolaristico, conflittuale. Deve essere progettuale.

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