
È il 12 dicembre, torno da un convegno sull’azzardo organizzato dalla Regione Lazio e sono sul treno Frecciarossa delle 16, diretto da Roma a Milano.
Si avvicina una hostess e mi dice qualcosa che al primo colpo non capisco. Poi, senza nemmeno attendere la mia risposta, accende lo schermo del tablet e ripete: «Ecco la sua slot machine “Fior Fiore Coop”» [Lo schermo del tablet lo potete vedere nella fotografia qui sopra]. Si vincono premi e possono giocare tutti i passeggeri, anche i bambini.
È questa dimensione tentacolare, strisciante dell’azzardo che assume una slot machine come modello di promozione e marketing a far paura. Il ragionamento che sta alla base del lancio di questa campagna è tanto chiaro, quanto aberrante. In termini di chiarezza procede così: se l’azzardo in Italia è un fenomeno di massa (questo è un dato di fatto) →se le slot machine sono così amate dagli italiani (su questo nutrirei invece più di un dubbio) → allora replichiamone il modello estetico. In termini di aberrazione, invece, il ragionamento non fa i conti con il fatto che replicando un “modello culturale” lo si legittima, lo si rafforza e se ne diventa complici.
Chi ha scelto questa campagna promozionale, chi l’ha approvata, chi l’ha accettata era pienamente consapevole del fatto che è proprio in queste zone apparentemente docili e neutre si gioca gran parte della violenza che avvelena le radici stesse della vita quotidiana?
Ritirare questa campagna sarebbe un buon segno. Un segno di forza, non di resa.
@CommunitasBooks
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