Non profit

La sua missione?Il rapportocol territorio

Intervista a Stefano Zamagni

di Redazione

«La cooperazione sociale non crescerà mai se continuerà a rendicontare le proprie attività invece di tenere conto delle istanze e dei bisogni del territorio». Stefano Zamagni, presidente dell’Agenzia per le onlus, non ha dubbi nel tracciare la rotta per la futura impresa sociale. «Basta parlare di bilancio sociale», afferma, «solo cambiando ottica e investendo sulla mission si diventerà veramente competitivi».
Social Job: Professore, con l’attuazione dei decreti ministeriali sull’impresa sociale si torna a parlare della rendicontazione sociale. Qual è la situazione in Italia?
Stefano Zamagni: Nel nostro Paese, la cooperazione non è mai riuscita ad andare oltre alla semplice accountability delle proprie attività. Si dà conto di quello che si fa, ma non di come si risponde alle domande dal basso. Così una cooperativa può ottenere un bollino blu per la qualità del suo bilancio, ma non dimostrerà mai se ha tenuto conto delle istanze del territorio.
SJ: La cooperazione lamenta il fatto che avviare un sistema di rendicontazione come strategia di governance è più costoso e non paga nel rapporto con il mercato.
Zamagni: Tutto questo è vero ed è proprio per questo che l’Agenzia per le onlus avvierà un processo di riconoscimento di questo strumento. In primis, con la presentazione ad ottobre delle linee guida per la sua redazione e poi promuovendo lo strumento anche presso le pubbliche amministrazioni, che in futuro lo adotteranno come discriminante per la partecipazione alle gare. L’idea è far capire alle cooperative che fare il bilancio di missione conviene.
SJ: In che senso conviene?
Zamagni: Il primo motivo è legato ad un semplice tornaconto economico. D’ora in poi la donazione del 5 per mille sarà legge dello Stato e per la cooperazione sarà assolutamente redditizio veicolare tra i potenziali donatori un bilancio che risponde a determinati requisiti. In più si potrà acquisire punteggi più alti negli appalti e in tutti quelle convenzioni stipulate con gli enti pubblici.
SJ: Il secondo motivo?
Zamagni: Di gran lunga il più importante perché riguarda il coinvolgimento degli stakeholder in un’ottica di competitività. Fare il bilancio di missione vuol dire soprattutto formalizzare il rapporto con il territorio e quindi rivedere i propri strumenti di governance orientandoli verso l’efficienza organizzativa. In più permette di mobilizzare la conoscenza tacita, cioè quel sapere e quelle competenze proprie delle persone e non trasmesse dall’alto dall’organizzazione. Questo è un grandissimo salto in avanti che permette di distinguersi dalle imprese capitalistiche più orientate ai classici incentivi economici; in più stimola processi strutturati di innovazione proprio nell’ottica del prodotto, del processo e della gestione organizzativa. Finora l’idea di trasmettere identità con il bilancio sociale ha fatto della cooperazione una organizzazione taylorista che rischia di perdere il confronto con le aziende private che gradualmente stanno adottando questo strumento con una prospettiva di coinvolgimento attivo del personale. Ma per fare questo ci vuole un salto culturale interno alle associazioni di categoria, che non può essere dettato da leggi dello Stato, ma deve essere incentivato da una vera politica innovativa.

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