Non profit
La svolta di Palermo: più trasparenza e stop alle assegnazioni dirette
Dopo le polemiche in arrivo un nuovo regolamento
di Redazione

I morsi del bassotto di Striscia la notizia hanno lasciato il segno sui polpacci del Comune di Palermo. Palazzo delle Aquile, il municipio italiano con il maggior numero di beni immobili confiscati alla mafia, sebbene non abbia ancora un regolamento ad hoc per la gestione delle proprietà sottratte alla criminalità, ha dato un taglio alla gestione “disinvolta” denunciata dall’inviata del programma di Ricci. E cioè: strutture chiuse, inaccessibili, utilizzate per fini diversi da quelli concordati o frequentate da persone sospettate d’essere vicine alle cosche.
Il Comune, finalmente, ha dato un taglio alle assegnazione dirette, ha iniziato a predisporre appositi bandi per l’assegnazione e soprattutto ha avviato controlli che hanno portato a non poche revoche. Secondo i dati dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati, gli immobili destinati e consegnati all’amministrazione palermitana sono 612 mentre quelli non consegnati sono 192. Altri 994 potrebbero arrivare nei prossimi anni. Locali, magazzini e terreni che (se privi di destinazione abitativa) sono concessi secondo tre criteri di priorità: disponibilità ad effettuare manutenzione e ristrutturazione; attività rivolte verso le categorie sociali deboli, la tutela della legalità e dell’ambiente e, infine, «consistenza dell’intervento che il richiedente è in grado di effettuare sul tessuto sociale della popolazione».
A monte, tuttavia, opera un primo filtro. «Valutiamo innanzitutto se l’immobile può essere utile al Comune per le sue attività istituzionali, sociali e culturali», precisa Eugenio Randi, assessore alla Gestione dei beni confiscati della giunta di Diego Cammarata (in foto il sindaco). Le procedure di assegnazione dovrebbero trovare, si spera al più presto, una sistemazione organica nel regolamento presentato al Consiglio comunale.
Il testo, anticipa l’assessore, prevede l’assegnazione tramite bando, un maggior raccordo fra gli uffici e l’obbligo di iscrizione alla Camera di Commercio delle organizzazioni che si candidano a ricevere le proprietà. L’ente camerale effettua infatti un primo screening per il rilascio del certificato antimafia.
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