Non profit
La via verso il servizio civile universale
Il presidente di Arci Servizio Civile in occasione dell'incontro con l'Intergruppo sul Terzo settore: "Occorre ripensare alla governance di questo strumento". Dal finanziamento ai modelli di gestione. Ecco come la pensa il primo dirigente di uno degli enti più importanti in Italia
di Redazione

Intervento di Licio Palazzini (Arci Servizio Civile) all'incontro promosso dall'Intergruppo parlamentare sul Terzo Settore, dal titolo “Il servizio civile nazionale: problemi e prospettive future” del 1 agosto
"Il SCN nella sua base, cioè nella esperienza di gran parte dei giovani e delle organizzazioni, genera soddisfazione, produce capacità e attività, raggiunge persone e realtà che hanno bisogno di attenzione e di innovazione. Dare l’impressione di concentrarsi solo sui problemi indebolisce le energie per la riforma.
Il SCN non viene valorizzato in primo luogo dalle istituzioni che lo gestiscono. Qualche giorno fa era su tutti i giornali la Relazione del Dipartimento Droga, altre volte del Garante dei diritti dei bambini etc. Per il SCN si invia d’ufficio al Parlamento la Relazione Annuale e tutto finisce li.
Dicevo le priorità. Le azioni parlamentari prioritarie che ASC vi sottopone sono comuni a quelle avanzate da tempo anche da altri soggetti.
– Triennio finanziario 2014-2016 con dotazioni annuali di almeno 150 milioni anno per avere avvii annuali superiori alle 20.000 persone. Questo passaggio di stabilizzazione è essenziale per dare credibilità a ogni ipotesi di riforma propositiva dell’istituto. Lo è anche per un altro motivo, presente nell’Appello Un’alleanza per il futuro del SCN. Un SCN di almeno 40.000 persone regge la sfida della qualità se c’è un’intelaiatura di operatori motivati e formati. Oggi, questa intelaiatura, pagata in toto dalle organizzazioni perché lo Stato non ha contribuito con un euro (come se la difesa armata pagasse solo i volontari in ferma annuale), sta saltando e solo con una stabilizzazione questo processo può essere interrotto.
– Avvio in Commissione Affari Costituzionali dell’iter per la riforma della legge 64/2001 e del decreto 77/2002, con la nomina del relatore e l’avvio di audizioni, nel mentre vengono depositati i testi dei vari gruppi, andando oltre i convegni e passando al confronto anche tecnico. Nel mentre, anche come ASC, ritengo che il testo Sereni sia una positiva base di partenza, soprattutto per quanto riguarda la soluzione che propone al decisivo nodo della governance sia del SCN che dei servizi civili regionali, è rilevante sapere se il Governo Letta, oltre l’interesse al mantenimento del SCN, intende avere un ruolo attivo con proprie proposte.
– Introduzione, per emendamento a provvedimento in corso di esame, della possibilità di svolgere sia il servizio militare che il servizio civile per i regolarmente residenti nel nostro Paese da almeno 3 anni. Questo lo sosteniamo nel momento in cui il tema della difesa europea riprende quota e con essa emergerà la arretratezza della visione che impedì nel 2001 l’accesso anche degli stranieri al SCN modalità non armata di difesa del Paese.
Alcune riflessioni.
In questi anni, complice la formulazione dell’art. 1 della legge 64/2001, quella che è una ricchezza dei servizi civili (la capacità di produrre risultati positivi su tanti temi) si è trasformata in debolezza. E’ politica giovanile? E’ politica di solidarietà? E’ politica di difesa? E’ politica di empowerment? E’ politica di civismo? Il risultato mediatico è stata la confusione e marginalizzazione. Sul piano delle relazioni fra istituzioni il SCN è finito nella lotta per le competenze nell’ambito più generale della strutturali ambiguità della riforma del Titolo V della Costituzione. Sul piano politico c’è stato il fallimento dei tentativi di riforma avviati con il 2009.
Per questo la prima riflessione riguarda la governance di un rinnovato servizio civile nazionale. Governance che in primo luogo assuma positivamente anche le sperimentazioni in corso con alcuni servizi civili regionali.
Occorre prendere atto che il modello duale (UNSC/Uffici Regionali) varato con il decreto 77/2002 è fallito. Era stato proposto per un servizio civile di numeri simili a quello degli obiettori (Giovanardi parlò di 80.000 posti). Oggi siamo a 15.000 in due anni. Inoltre si sono realizzate duplicazioni di azioni (accreditamento e valutazione progetti fatte dai due livelli) e crisi su altri terreni (le ispezioni sono fatte dall’UNSC, mentre alcune Regioni non ne fanno alcuna; il monitoraggio pubblico è totalmente assente), così come è emerso dallo studio che abbiamo prodotto sul bando del 2011 che le stesse modalità di formazione delle graduatorie per i progetti da mettere a bando rispondono a obiettivi estremamente contradditori. Da una parte la graduatoria per qualità dell’elaborato progettuale, dall’altra la distribuzione di qualche giovane del SCN al numero più ampio di soggetti accreditati sull’albo regionale di riferimento.
Per questo la proposta di riorganizzazione avanzata nel testo Sereni ci pare di semplice buon senso, riconoscendo funzioni diverse tutte subordinate all’atto politico centrale. Il documento di programmazione triennale delle missioni da realizzare attraverso il servizio civile per dare concretezza alla finalità di promozione della pace, a cui sono chiamate a concorrere il Governo, le Regioni e PA, le organizzazioni accreditate, dal Terzo settore ai Comuni, le rappresentanze dei giovani del SCN.
Ma rispetto al testo Sereni ci sono due questioni di fondo che nel 2010 non erano ancora emerse come lo sono oggi.
La prima. Come ha detto pochi giorni fa il Ministro Mauro il nostro Paese deve riflettere e confrontarsi su quali politiche di difesa sono oggi necessarie. Condividiamo. La riduzione di spesa statale per le politiche attive verso la pace e la giustizia (educazione, conoscenza, inclusione, salute, ambiente…) e l’aumento percentuale delle spese militari (il mantenimento della stessa percentuale per 20 anni significa questo) non può avvenire alla chetichella o come fatto “naturale”. In aggiunta la destinazione dei risparmi dalla riduzione del personale alle armi (che già nel 2013 impegnano 3 miliardi e 395 milioni di euro) è una scelta talmente grave che andrebbe meglio giustificata ai cittadini che pagano le tasse e andrebbe sottoposta a referendum. Inoltre non si capisce perché con una difesa europea secondo lo IAI l’Italia risparmierebbe 8 miliardi di euro all’anno (altri dicono 120 nell’intera Unione) e l’Italia che dice di voler promuovere la difesa europea intanto mantiene gli stessi livelli di spesa per 20 anni.
Ma se queste sono considerazioni critiche verso provvedimenti presi, il vero nodo è che la pace non si promuove e consolida con le armi (come dicono gli stessi militari, fra l’altro) e allora dire, come dice l’Alleanza per il futuro del SCN che promuovere la cooperazione internazionale, i corpi civili di pace, l’educazione alla legalità e alla modalità nonviolenta di affrontare i conflitti, il servizio civile per tutti coloro che chiedono di farlo come l’altra modalità delle politiche di difesa e sicurezza smette di essere un vezzo di reduci obiettori e diventa la questione su cui si decidono i prossimi decenni, la democrazia dei prossimi decenni. Per inciso, riprendendo un altro punto di quel documento, basterebbe investire il 3% dei fondi della Difesa Armata per il SCN e avremmo raggiunto nello stesso tempo due obiettivi. Dotato l’istituto di fondi sufficienti e avremmo una riforma a costo zero per il bilancio statale.
La questione difesa e SCN è strettamente legata all’altra grande emergenza che viviamo. La crisi dell’Unione Europea come soggetto che promuove socialità, diritti, buon lavoro, pace. Si ritorna alla pace. Pensare ad una riforma del servizio civile nazionale senza iscriverla strutturalmente in una dimensione sovranazionale è antistorico.
Nell’Unione Europea assieme all’Italia altri due Paesi fondatori hanno servizi civili nazionali strutturati e in sviluppo. Francia e Germania. Perché il Parlamento Italiano non promuove un’iniziativa di riflessione con i Parlamenti dei due Paesi e il Parlamento Europeo per sostenere un’azione del Governo nel prossimo semestre di presidenza dell’Unione Europea? Come ASC saremmo ben lieti di mettere a disposizione la rete di conoscenze e riferimenti costruita in vent’anni.
In conclusione, guardando al lungo periodo, qualcuno pensa che, pur con tutti i cambiamenti necessari, le politiche di welfare potranno sopravvivere nell’Unione senza che i cittadini e le organizzazioni le chiedano, contribuiscano a realizzarle? E non potrebbe essere un servizio civile europeo che forma i giovani alla partecipazione civica europea uno strumento poderoso per questa prospettiva?"
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