La struttura, come affermano i tecnici del Comune, ha seguito l’«iter autorizzativo». Come se questo bastasse a giustificare quei sei metri in altezza che tolgono la vista del lago. Perché il maxiparcheggio per cicli e motocicli costato 450mila euro e tuttora in fase di ultimazione (ne servono altri 170mila per la “copertura artistica”), a Montisola sul Lago d’Iseo, forse non è un «ecomostro», come l’ha definito Legambiente del Basso Sebino, se con questa espressione si pensa a costruzioni come quelle di Punta Perotti a Bari, ma di certo è stato pensato male e realizzato peggio. Quello di Montisola è un equilibrio sottile, ci dice Massimo Zani, storico del paesaggio che ha casa qui. Un tempo l’economia dell’isola lacustre più grande d’Europa era «estremamente povera, basandosi su pesca, artigianato delle reti e un po’ di agricoltura, ma questo permetteva un grado di tutela del sistema-paesaggio molto elevato, dovendo noi considerare», prosegue Zani, che «tutelare il paesaggio non significa semplicemente non costruire o, peggio, costruire edifici orrendi che comunque rispettino gli iter procedurali». Al contrario, «è questione di una vivibilità complessiva», cosa che l’attuale economia di Montisola, basata in gran parte sulla villeggiatura, non tutelerebbe.
La questione del parcheggio a due piani a Peschiera Maraglio, recentemente ritornata alle cronache per una querelle giudiziaria su distanze non rispettate, ne è un esempio. «Sulla carta, la cosa ci poteva anche stare: un parcheggio serve in un sistema che prevede cicli e motocicli come veicoli principali di spostamento» ma, conclude Zani, «dal pensare al progettare e dal progettare al realizzare succedono tante cose. E queste “tante cose” sono riducibili a una sola: la mancanza di prospettiva. Le scelte vanno condivise, con i cittadini, ma anche col territorio, che è “materia viva”: il solo rispetto di norme e vincoli non serve se poi tutto si trasforma in un labirinto burocratico». Di questo si sono accorti anche i cittadini che, interpellati da Legambiente, hanno mostrato il proprio disappunto per opere – i parcheggi, in realtà, sono due, oltre al piccolo ecomostro di Peschiera c’è anche quello di Carzano, che occupa un’area in origine destinata a verde pubblico – che potevano facilmente essere realizzate con materiali poveri e rispettosi della tradizione. «Bastava una tettoia, bastava un po’ di legno, quattro chiodi e qui si era tutti contenti», ci dice il signor Archetti. Ma, conclude amaro, «alle archistar di provincia, quattro chiodi e un po’ di legno non bastano, per raggiungere uno scopo che, oramai lo abbiamo capito, non è quello del bene comune».
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