Cultura
La voce di Jane Eyre nell’epoca delle veline
Una lettura in chiave contemporanea del romanzo della Bronte
di Redazione

«Chi mai nel mondo si preoccupa di me?». «Io. Io, mi occupo di me stessa. Più sono sola, priva di amici, abbandonata, più devo avere rispetto di me stessa». Sono le parole che dice Jane Eyre, protagonista dell’omonimo romanzo dell’Ottocento, firmato da Charlotte Bronte. L’eroina della scrittice inglese può, secondo noi, essere un’utile lettura per i tempi che viviamo. Tempi difficili, in cui il pettegolezzo ha assunto un ruolo da protagonista della vita politica e sociale. Ma dietro al pettegolezzo c’è qualcosa che dovrebbe inquietare e far indignare l’universo femminile che, invece, sembra essere narcotizzato o, peggio, connivente con lo svilimento della dignità della persona, in generale, e del femminile, in particolare. La Bronte non era bella, non era ricca, non frequentava la buona società vittoriana, insomma non aveva elementi per essere vincente; poteva essere tentata dalla chimera dell’amore romantico, invece ci ha regalato Jane Eyre, una delle prime versioni femminili di romanzo di formazione. Ecco perché lo suggeriamo alle giovani generazioni. Perché possano, tra altre scelte, cogliere un altro punto di vista. Jane Eyre poteva essere tentata anch’essa dall’amore romantico o, peggio, convenzionale (donna povera o senza mezzi fisici o materiali che sposa un uomo ricco e molto più anziano di lei), ma non lo fa. Si arrenderà all’amore di Mr. Rochester quando un “provvidenziale” incendio lo renderà cieco e più “pari” a lei. Ma per metà del romanzo avremo visto una Jane alla ricerca costante di se stessa piuttosto che «vivere un’ora in un’incantevole ebbrezza? e poi trovarsi oppressa un’ora dopo dalle più amare lacrime del rimorso e della vergogna». Sentimenti quasi sconosciuti oggi.
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